Zef Bisha: “Subito dopo il regime è maturata la mia vocazione sacerdotale”
Ricercando luoghi di culto cattolico a Tirana, capitale dell’Albania che conta circa un milione di abitanti mi sono imbattuta in Zef Bisha, sacerdote dai modi empatici, accoglienti e discreti e grazie alla sua conoscenza della lingua italiana ho avuto anche la possibilità di ricevere, attraverso di lui la grazia della confessione.
Classe 1973, Zef è un sacerdote gesuita (l’unico albanese) in servizio presso la parrocchia del Sacro Cuore nel centro di nella capitale albanese.
Un giorno, insieme ad altri suoi fedeli residenti in villaggi alla periferia di Tirana (zone molto povere), qualche giorno dopo la commemorazione dei defunti, l’abbiamo seguito nel benedire alcune tombe cattoliche collocate in aperta campagna ai piedi di una collina, cosa molto inusuale da noi. Ci ha poi mostrato uno dei due cimiteri comunali: una vasta distesa di tombe tutte posizionate a terra, compresa una collinetta in cui queste erano così fitte che non si vedeva neanche uno spazio di terra, suddivise in ala cattolica e ala musulmana. Nella zona ricadente nella parrocchia di Zef sono seppelliti anche il dittatore dell’epoca del regime e i genitori di Madre Teresa di Calcutta.
Durante il tragitto mi ha raccontato un po’ la storia della sua vocazione sacerdotale.
Cosa ricordi del periodo del Regime?
Tutto era razionato. Ogni giorno veniva un camion di pane e a ognuno toccavano 250 grammi di pane. Non era permesso credere in nessun Dio (nel ’76, l’ateismo veniva sancito dall’articolo 37 della Costituzione: «Lo Stato non riconosce alcuna religione e sostiene la propaganda atea per inculcare alle persone la visione scientifico-materialista del mondo» ). L’unica testimonianza di fede cattolica per me era il segno di croce che mio padre si faceva, mattina e sera, dinanzi a un crocifisso (che oggi conservo in sacrestia) tenuto ben nascosto dietro un muro. La cosa più brutta era l’indottrinamento che cominciava già a scuola. Ricordo ancora il libro di filosofia di una trentina di pagine di un formato più grande di un A 4 che riportava solo le storie delle ideologie di personaggi del regime. Avevano fatto costruire con il lavoro forzato dei residenti tantissimi bunker in cui potevano stare solo due persone e altri più grandi per poter ospitare un cannone. I media facevano passare il messaggio che in Albania stavamo bene ed eravamo ricchi mentre paesi come l’Italia erano quelli che bramavano le nostre ricchezze. Subito dopo il regime in tanti era rimasto questo timore. Le chiese erano state tutte chiuse e ridotte a uso profano.
Cosa ricordi di quando vi siete riappropriati della vostra libertà?
Subito dopo il regime andammo tutti a ripulire la nostra chiesa che era diventata una sorta di accumulo di rifiuti. Rifiuti non intesi come li intendiamo noi oggi perché all’epoca non esisteva la plastica e il concetto di usa e getta e tutto veniva riciclato, ma rovi, erbacce a altri materiali simili. Io avevo circa quindici anni e ricordo ancora nitidamente quei giorni. Arrivarono dei missionari italiani con cui stavo volentieri quando non aiutavo papà nei lavori di carpenteria. MI piaceva ascoltarli e pregare con loro e proprio nello “stare” con loro dopo tre anni ho maturato il desiderio di fare quella vita e diventare sacerdote. Quando dissi ai miei genitori di questa mia intenzione loro si chiusero: non volevano assolutamente, mi avevano perfino trovato una donna da sposare. Ma io restai della mia idea e così il giorno prima dissi ai miei: “Domani entro in seminario”. E così feci! Ci è voluto un po’ di tempo affinché la mia famiglia accettasse la mia scelta ma poi ne sono stati felici. Dopo tre mesi di seminario diocesano volevo scappare perché era completamente diverso da come me lo aspettavo. Ma il padre spirituale mi disse “Prima di lasciare aspetta almeno un anno”. E così feci e in quel periodo vennero in missione dei padri gesuiti ed entrando in contatto con loro sentivo forte che quella era la mia strada. E così dal diocesano passai al percorso per gesuiti.
Del tuo ministero sacerdotale cosa ami di più?
Lo stare in mezzo alla gente. Mi dispiace non avere tanto tempo per farlo asia perché ho diversi ruoli in diocesi e sia perché il territorio della parrocchia è molto vasto e per raggiungere le contrade della periferia occorre tanto tempo. Ma quando vado se possibile celebro la santa messa e resto con loro quanto più possibile, sono davvero molto accoglienti ed ospitali con me: vorrebbero che restassi sempre con loro.