” Voglio abitare la comunità di Pentecoste?”
(Commento al Vangelo di don Gianluca Bracalante)
“Spirito Santo, che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza. Dissipa le nostre paure. Scuotici dall’omertà. Preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e dell’ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori. Donaci la gioia di capire che Tu non parli solo dai microfoni delle nostre Chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei.”
La Parola di Dio in questa solennità della Pentecoste ci mette di fronte ad una scelta: voglio abitare la comunità – Babele oppure la comunità – Pentecoste?
La comunità – Babele è quella omologata, chiusa, sempre critica, nemica di tutto ciò che è altro da se. È la comunità in cui vige la formula “si è sempre fatto così” oppure “fuori da qui non c’è salvezza”. È la Chiesa statica, immobile, incapace di purificarsi, di perfezionarsi, di evolversi. È la Chiesa del precetto, di chi divide la gente in buoni e cattivi, regolari e irregolari, di chi frequenta e chi no. Di chi si illude di essere possessore della verità e di accendere i roghi del giudizio e della scomunica. La comunità – Babele è la casa dell’obbedienza cieca, che come affermava il grande Chenù è una mediocre virtù. È il ghetto di chi non lascia pensare ma solo eseguire come burattini senza coscienza. In questa comunità, sempre di moda perché comoda, lo Spirito Santo non c’è.
Poi c’è la comunità – Pentecoste: quella della “convivialità delle differenze”, quella aperta all’azione dello Spirito che soffia dove vuole ed è il grande tema presente nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli. In questa Chiesa si respira l’etica dell’altro come volto con una sua identità sacra, l’altro come ricchezza perché dà valore al mio io. La Chiesa – Pentecoste fa sentire tutti uguali nella dignità, sorelle e fratelli in cammino verso l’unico Dio, corresponsabili nella Chiesa che è il mondo intero come corpo di Cristo, nonostante le difficoltà, le incomprensioni, gli egocentrismi e le discriminazioni. Lo Spirito si serve della nostra voce per annunciare la Parola che apre la chiusura del cenacolo e spinge ad uscire per proclamare a tutti nell’Amore la Buona Notizia. Lo Spirito ci invita ad incontrare il “diverso -da -me” senza paura o ostilità, ma come San Paolo ci ricorda nella seconda lettura, questo deve avvenire nel contesto della missione, ognuno con il proprio carisma esercitato nell’umiltà e nel rispetto senza gelosie, perché tutti siamo chiamati in modo diverso all’unica vocazione: vivere nel cuore di Dio e il Padre ha per tutti lo stesso sogno: la salvezza. L’evangelista Giovanni nel Vangelo, infine, ci ricorda che la pace è il distintivo per riconoscere l’azione dello Spirito Santo. Una pace spiazzante che rompa le catene dello scontro, della incomprensione e della incomunicabilità, una pace che spalanchi gagliardo nuovi toni, nuovi modi e nuove forme di comunicare, creative, capaci di generare in maniera nuova e inattesa una continua Pentecoste. “Spirito che aleggi sulle acque, calma in noi le dissonanze, i flutti inquieti, il rumore delle parole, i turbini di vanità, e fa sorgere nel silenzio la Parola che ci ricrea. Spirito che in un sospiro sussurri al nostro spirito il Nome del Padre, vieni a radunare tutti i nostri desideri, falli crescere in fascio di luce che sia risposta alla tua luce, la Parola del Giorno nuovo. Spirito di Dio, linfa d’amore dell’albero immenso su cui ci innesti, che tutti i nostri fratelli ci appaiano come un dono nel grande Corpo in cui matura la Parola di comunione.”