“Vendi quello che hai, dallo ai poveri e seguimi!” Ci risiamo!
Anche oggi, se il Vangelo lo leggo come un precetto da compiere, come un impegno da assumere, come qualcosa che deve passare per i miei muscoli, rimarrò deluso.
Perché vendere quello che ho non fa per me! Anche se ci provassi, lo farei sforzato, triste, controvoglia. E soprattutto, non ci riuscirei. Questo proposito durerebbe massimo 24 ore! Non ce la farei perché tutto sarebbe centrato su di me, sulle mie forze. Che di fatto non ho!
Allora una via d’uscita c’è? Sì, è quella di non leggere moralisticamente il Vangelo, di non leggere in esso “cosa devo fare per avere la vita eterna” ma di leggerlo dal vertice del Padre, ossia come qualcosa che il Padre oggi sta facendo per me, che è Lui a chiedersi: “Cosa devo fare oggi perché la vita eterna possa entrare in Enzo, nelle persone che mi ascoltano, che sono a Messa, che meditano il Vangelo?”.
Chi vende tutto quello che ha e lo dà ai poveri è Dio Padre.
Nell’Eucaristia ne abbiamo una prova: guardala e vedi se non è esattamente la realizzazione della Parola di oggi. Gesù che si racchiude nel pane e nel vino ha venduto tutto quello ha, è diventato Altro, si è fatto piccolo, invisibile, nascosto nel frammento. Ha venduto tutto quello che ha e ora la sua ricchezza è rimanere in forma impercettibile. C’è ma è come se non ci fosse. E questa diventa una ricchezza che solo Lui può permettersi. Gesù nell’Eucaristia è ricco perché ha un modo di stare che non cerca l’immagine, che non cerca il consenso, che non vuole essere attraente a tutti i costi. Vende tutto, è ricco di questo… e questo ci dà!
I poveri siamo noi, quelli che ricevono questa ricchezza e ci arricchiamo. San Paolo quando dice: “Siamo poveri ma facciamo ricchi molti!” (2Cor 6,9), si riferiva forse proprio a questo. Siamo poveri ma ricchi di uno stile, di una mentalità, di un modo di stare al mondo che il mondo, anche se non lo conosce, quando lo “vede” in noi, lo intuisce, lo riconosce.
Ieri, parlando con una coppia di fidanzati prossimi al matrimonio, preoccupati di non poter fare il corso di preparazione perché entrambi impegnati con il lavoro, ho condiviso proprio questo: li ho tranquillizzati dicendo loro che non sarà certo un corso prematrimoniale ad abilitarli, a renderli credibili, a farli testimoni. Ho condiviso loro che una volta sposati, tra loro due e una coppia di conviventi non sposati in chiesa, esteriormente non ci sarà nessuna differenza. Chi si sposa in chiesa non riceve un’uniforme, una divisa che li rende riconoscibili nel mondo. Ma la gente potrà accorgersi che loro due sono sposati da quello che non si vede, da quella trascendenza che emanano nel modo di vivere e di amarsi, per quella ricchezza che nascondono dentro e che farà chiedere alla gente: “Cos’hanno quei due che li rende così? Cosa nascondono? Qual è il segreto invisibile della loro vita? Come mai, pur sembrando così poveri riescono a far ricchi molti?”.