Teresa Iovino, medico per passione
Chi ama Dio sa riversare questo amore incommensurabile in tutto ciò che fa. Teresa Iovino è una donna medico di base di San Salvo da novembre 2019, che sa trasmettere la sua passione per la vita. Di seguito l’intervista.
Quando e perché hai deciso di diventare un medico e in quale branca ti sei specializzata?
Io sono la prima di tre figli. Da bambina sognavo di diventare o una maestra o un’ astronoma ma con la nascita di mio fratello mi sono appassionata al miracolo della vita. Avevo dodici anni, un’età in cui si riesce a percepire in maniera matura ciò che si sta vivendo. Per me era qualcosa di incredibilmente bello la pancia di mia mamma che cresceva piano piano fino alla nascita di quel bambino. E’ stato in quel periodo che ho cominciato a maturare l’idea di voler diventare un medico. Subito dopo il liceo mi sono iscritta alla facoltà di medicina a Chieti, università più vicina al mio paese di origine, San Severo. Dopo la laurea dovevo scegliere la specializzazione e in questa scelta mi venne incontro un articolo che lessi e di cui ho poi comprato la copertina. Era un articolo del Corriere del 19 dicembre del 1969 che parlava del primo trapianto del cuore eseguito il 3 dicembre 1967 dal chirurgo sudafricano Christiaan Barnard all’ospedale Groote Schuur di Città del Capo. Restai affascinata anche dall’immagine di copertina: riusciva a dare l’idea di una vita che sfumava ma ridava vita a un altra persona. Questo articolo insieme al fatto che avevo una particolare predilezione per il cuore perché è l’unico organo che si muove e riesce veramente a parlarti anche da fermo, scelsi di prendermi la specializzazione in cardiologia ma poi mi chiamarono nella cardiochirurgia guidata dal dottor Antonio Maria Calafiore. Furono cinque anni che, anche se molto intensi a faticosi, furono bellissimi: da tirocinante facevo esperienza a 360° dell’attività ospedaliera; facevamo i turni come tutti i medici e spesso ci ritrovavamo anche da soli a gestire il reparto. L’esperienza ospedaliera per me è stata davvero edificante: la cosa più bella era il contatto con il paziente, spesso si ricreavano degli ambienti di grande familiarità. In alcune ore pomeridiane ero stata inserita anche nei laboratori di ricerca dove studiavamo i cuoricini dei topolini. Alla ricerca preferivo il contatto con i pazienti.
Oggi sei un medico di base, perchè questa scelta e non quella ospedaliera?
La cardiochirurgia resta di sicuro una branca che ho amato e amo ancora ma ho sempre avuto nel cuore il desiderio di dedicarmi alla famiglia. Dopo la laurea mi sono sposata e nel 2001 è nato il mio primo figlio. Ho scelto di essere una mamma a tempo pieno e sono tuttora felicissima per questa scelta e senza nessunissimo rimpianto. Mi sono rimessa in carreggiata con la carriera nel 2006 quando il mio secondo figlio è entrato all’asilo: sentivo che era arrivato il momento giusto per il lavoro. Ho ricominciato con il servizio come guardia medica e dopo il mio trasferimento nel 2008 qui a San Salvo, dal 2009 sostituivo i pediatri della città. Molti mi hanno chiesto perché con una specializzazione così importante non mi sono dedicata a questa branca e ho preferito fare il medico di base. So che queste mie competenze in cardiochirurgia siano delle conoscenze in più che posso offrire ai miei pazienti.
Qual’è la tua priorità nel tuo lavoro?
Di sicuro competenza, professionalità, passione e rispetto per la medicina e per la vita degli altri. Quando io vado da un medico cerco un sorriso, una parola di conforto e ottimismo. Ed è questo che cerco di trasmettere ai miei pazienti. E’ scientificamente provato che l’umore ha una grande influenza anche sullo stato fisico.
Credi in Dio?
Io non sono una praticante ma anche con il mio lavoro ho la consapevolezza che esiste qualcuno al di sopra di noi e che ritrovi in tutte le cose belle della vita. E di questo ne ho avuto una conferma quando stavo frequentando la specializzazione a Chieti. C’era un ragazzo che oggi è ancora vivo e che aveva dei problemi davvero importanti al cuore. Per quanto potesse essere bravo il cardiochirugo che l’ha operato c’è stata un’altra mano che l’ha salvato.