Sigismund Puczi, “sono nato Ortodosso ma sono diventato cattolico qui a San Salvo”
Sigismund Puczi è un uomo che ha vissuto l’amarezza dell’esperienza di una vita da clandestino ma nel tempo si è perfettamente integrato nella nuova patria senza rinnegare le proprie origini e facendole, anzi, diventare una fonte di cultura positiva non solo per i suoi connazionali ma anche per gli altri. Di seguito una breve intervista.
Mi parli un po’ di lei e del paese in cui è nato?
Io sono nato il 1 dicembre del 1968 in Romania a Tarnaveni, un paese di 26.000 abitanti con un polo industriale che vantava due importanti aziende, una nel settore chimico e una nella produzione del vetro. Ero figlio di un autista di camion e di un’operaia di un’azienda che realizzava prodotti in vimini. Ho vissuto appieno la vita del regime comunista in Romania. Non si viveva male: c’era disciplina, ordine e rispetto. Tutti avevano una casa e anche se tutto era razionalizzato nessuno moriva di fame. Anche la scuola era ben strutturata e tutti avevano la possibilità di raggiungere i massimi livelli e di praticare uno sport gratuitamente. Io per esempio mi ero specializzato nella lotta libera e partecipavo anche a diversi campionati. Non c’era però libertà di esprimere la propria opinione e non si poteva lasciare il paese se non c’erano delle condizioni che in qualche modo ti costringevano a ritornare. Per esempio con un lavoro come quello di mio padre non tutti potevano andare all’estero. A me personalmente non mi pesava il regime perché amavo il rispetto delle regole e stavo bene a grazie al fatto che mi distinguevo nello sport andavo anche all’estero. Vivevo nell’ottica che era importante vincere ma che era anche altrettanto importante saper perdere. Molti dei miei amici miei amici non condividevano le politiche del regime e uno mi propose anche di scappare dalla Romania. Per fortuna non lo seguii perché non fece una buona fine. La mia generazione è stata quella che ha determinato la caduta del regime comunista avvenuta nel 1989.
Quando e perché è venuto in Italia e come si è trovato qui a San Salvo?
Sin da giovanissimo mi immaginavo di vivere lontano dal mio paese. Il 20 gennaio del 1993 sono venuto in Italia insieme a un mio amico con un visto turistico per visitare Roma ma con l’idea di restarci qualche anno, guadagnare dei soldi e poi tornare in Romania. Al check-in incontrammo un imprenditore italiano che aveva una gioielleria a Bucarest e che parlava bene il rumeno. Molto probabilmente rimase colpito da un piccolo gesto di cortesia che facemmo nei suoi confronti: farlo passare avanti in quanto persona anziana. Ci presentò un altro suo amico imprenditore di Montenero di Bisaccia, Luigi Sparvieri che gestiva una ditta di taxi sempre a Bucarest. Ci chiese cosa facevamo in Italia e noi esponemmo le nostre intenzioni. Luigi subito ci ha detto: “vi aiuto io” e ci aveva dato il numero di telefono. Ma siamo rimasti bloccati per via di un nostro connazionale che viaggiava con la nostra comitiva che aveva un’interdizione. In albergo c’era un ingegnere rumeno che lavorava come muratore e ci aveva proposto di fare i manovali edili. Pur non avendo esperienza accettammo. Trascorsa la settimana coperta dal visto turistico dovevamo ritornare a casa ma restammo in clandestinità. Dell’Italia in particolare mi attirava dei modi di fare liberi che non vedevo nel mio paese. Il muratore ci ospitò per qualche giorno ma poi abbiamo dovuto cominciare ad arrangiarci e lo facemmo con Caritas e chiese. Non conoscevamo per niente la vostra lingua. Lavoro era l’unica parola che conoscevamo. Non trovando nulla a Roma, componemmo il numero del Sparvieri che subito ci trovò lavoro presso una sartoria in contrada Padula. Con lo stipendio ci potevamo pagare un affitto ma continuavamo a vivere una vita da clandestini. Dopo un po’ di tempo il mio connazionale non resistette e preferì tornarsene in Romania. Mi recavo a lavoro a piedi. San salvo marina era piccola e tutti mi vedevano e mi conoscevano comprese le forze dell’ordine che siccome vedevano che in fondo non facevo niente di male facevano finta che non esistessi. Un giorno zio Emidio della Caravella mi regalò una bicicletta delle proprie figlie. Un giorno mi resi conto che non era pienamente soddisfatto della mia vita perché mi mancava un punto fermo, una mia famiglia. Tornai nel mio paese per proporre a una ragazza che mi piaceva di venire in Italia e di sposarmi. Per amor mio accettò di lasciare in Romania un lavoro che le permetteva di recarsi al lavoro con i tacchi. All’inizio per lei non fu facile anche perché qui dovette accontentarsi di un lavoro in sartoria. Fummo la prima coppia straniera che si sposava qui in Italia al Municipio. Molti ricordano ancora quel giorno anche perché siccome ero un volontario della Croce Rossa quel giorno, appena uscimmo dal comune, c’erano autoambulanze a sirene spiegate e molti altri volontari in divisa.
Oggi lei è perfettamente integrato in una nazione e in un popolo che una volta non le apparteneva. Come è avvenuto questo processo e cosa sente di consigliare e chi oggi si trova a vivere una vita da clandestino?
Per integrarsi bisogna innanzitutto imparare a conoscere e rispettare gli abitanti del paese che ci accoglie insieme alle loro abitudini e alla loro cultura. Quando sono arrivato qui osservavo attentamente i miei coetanei e cercavo di capire e conoscere il loro modo di pensare. Mi sono sempre comportato bene e per questo sono stato sempre molto apprezzato dai sansalvesi. Proprio perché so cosa significa tutto ciò mi sento in diritto di dire che quando un clandestino si comporta male deve essere accompagnato personalmente alla frontiera e non lasciato girovagare in altre città del territorio. E questo soprattutto perché mettono in cattiva luce anche chi rispetta il popolo che li accoglie. Non siamo tutti uguali.
Un giorno mi aveva accennato che era un ortodosso ma poi hai scelto di abbracciare la religione cattolica. Mi spiega perché?
Anche se sono nato in una famiglia ortodossa, non ero molto praticante. Quando mia moglie è rimasta incinta, entrambi ci siamo posti il problema di non negare a nostro figlio la possibilità di un credo religioso e siccome all’epoca l’Ortodossia era praticabile solo a Roma o a Bari, per un fatto pratico abbiamo scelto il cattolicesimo. Ne abbiamo parlato con don Gino Smargiassi, l’allora parroco della chiesa di San Salvo Marina dove noi risiedevamo. Per diversi mesi don Gino veniva a casa nostra, ci istruiva sulle fondamenta del credo cattolico e rispondeva a tutte le nostre domande. Dopo diversi mesi di formazione, nel giugno del 2000, in un unico rito celebrammo tutti i sacramenti compresi il nostro matrimonio in chiesa e il battesimo del nostro figlio Alessio. Nel tempo la nostra scelta si è rivelata la scelta giusta sia per noi che per nostro figlio. Anche se oggi l’Ortodossia è molto più praticabile perché presente a Vasto e Termoli, continuiamo a vivere il nostro cattolicesimo con profonda commozione.