Santuario Madonna della Libera di Cercemaggiore (CB)
La storia della Madonna della Libera di Cercemaggiore inizia nel lontano 1412, anno nel quale la tradizione orale e scritta colloca il miracoloso ritrovamento di una statuetta lignea mariana in agro di Cercemaggiore. Si narra infatti che proprio nel 1412 un contadino, intento ad arare in un campo, avrebbe urtato contro uno ziro (grande vaso di terracotta), scoprendone all’interno la statua della Madonna orante.Repentino sarebbe stato il primo miracolo operato dalla sacra effige, consistente in un’acqua prodigiosa che, zampillando dal terreno, avrebbe guarito da ogni sorta di male coloro che se ne bagnavano.L’interramento della scultura, invece, ci verrebbe spiegato con la necessità di sottrarla al pericolo di distruzione derivante da un’invasione di “feroci e terribili iconoclasti” (per “iconoclasti” non si deve comunque intendere né un riferimento all’iconoclastia di origine bizantina dell’VIII-IX secolo né un’invasione saracena di IX secolo, essendo la statua cercese databile agli inizi del XIV secolo). A fronte delle notizie sopra riportate, si rende opportuno sottolineare l’esistenza di alcune affinità con i miracolosi ritrovamenti di tante altre statue di culto, legate a racconti spesso appartenenti alla tradizione mitopoietica (pratica della formazione e trasmissione di miti in ambito religioso).Se è bene, dunque, accogliere con una certa prudenza le notizie dell’interramento e del ritrovamento della scultura cercese, risulta invece abbastanza certa l’indicazione della sua provenienza dalla scomparsa chiesa di Santa Maria a Casale, che fu dipendenza del monastero benedettino di San Lorenzo in Aversa dalla seconda metà dell’XI secolo e che nasceva nei pressi di quello che è noto come il luogo del ritrovamento.Il 1412 resta, ad ogni modo, una data importante per la storia della Libera di Cercemaggiore, che divenne allora protagonista di un intenso culto religioso.Il rinvenimento della statua (o comunque la rinnovata attenzione per essa) portò all’edificazione intorno al 1414 di una primitiva cappella, andata poi distrutta nel terremoto del 5 dicembre 1456. In seguito, sul medesimo luogo, i feudatari Alberico Carafa e Giovannella di Molise diedero avvio, nel 1489, alla fondazione di un grandioso complesso conventuale affidato ai Padri Domenicani, provenienti da Napoli e sopraggiunti a Cercemaggiore già nel 1478 su invito dello stesso Conte Carafa. Nella chiesa conventuale è ancora oggi custodita la statua lignea mariana, venerata sotto il titolo della Libera. Nell’ottobre 2017 il convento cercese, lasciato dai padri domenicani, è divenuto dimora dei frati della Comunità “Maria Stella dell’Evangelizzazione”. (a cura di Valentina Marino)
IL SANTUARIO
Il santuario Santa Maria della Libera di Cercemaggiore sorge ai piedi del monte sul quale è ubicato il centro abitato, dal quale dista circa 2-3 Km.Fondato assieme ai locali del convento alla fine del XV secolo dai feudatari Alberico Carafa e Giovannella di Molise, l’edificio originario ha subito nel corso dei secoli alcune trasformazioni, fino a raggiungere le attuali dimensioni di metri 37 in lunghezza e metri 12,54 in larghezza. Nei lavori di restauro architettonico del complesso conventuale realizzati nel periodo 2011-2013, rimosso il rivestimento in lastroni di pietra levigata del 1970, è stato riproposto lo schema della facciata della chiesa del 1919-20, che fu progettato dall’architetto Antonio Pierro di Saviano su commissione di P. Giordano Pierro. L’odierna facciata si presenta dunque con lesene aggettanti, rosone in ferro e statua di coronamento. Sul portale d’ingresso, che conserva gli originali elementi rinascimentali (architrave, stipiti e archivolto), è ancora parzialmente leggibile l’iscrizione che indica le date 1412, anno del ritrovamento della statua lignea mariana, e 1500, anno in cui avrebbe avuto termine l’edificazione del santuario. Degno di nota è anche il portale a battenti lignei, esternamente rivestito da lamine di ferro fissate con filari di borchie, realizzato nel 1787 e fortunosamente sopravvissuto alle varie proposte di ammodernamento. L’interno si presenta a navata unica, affiancata da cinque cappelle su ognuno dei due lati. La struttura è priva di transetto ed al corpo della navata è direttamente annesso il profondo coro. Alle pareti sono addossate lesene con capitelli ionici, sorreggenti una trabeazione ugualmente ionica, e al di sopra si eleva la volta a botte, decorata con stucchi a rosette e foglie di quercia, realizzata nel 1858 in sostituzione del più antico soffitto a tavole lignee.
In corrispondenza delle ultime cappelle presso l’altare maggiore si imposta sulla navata una finta cupola ovoidale, il cui spazio fu decorato con stucchi che si ripartiscono in un medaglione centrale raffigurante lo Spirito Santo sotto forma di colomba, motivi floreali a rosette e teste di angeli. Nella lunetta posta sull’arco trionfale che introduce all’area del coro si stagliano la croce del martirio, la corona di spine ed il sudario, modellati a rilievo ed immersi nel contesto paradisiaco degli angeli tra le nubi. Invece, al di sopra del primo arco trasversale della navata campeggia un cartiglio che reca la scritta «QUASI STELLA MATUTINA», indicante uno dei numerosi titoli della Vergine. Le due acquasantiere, collocate nei pressi dell’ingresso della chiesa, sono entrambe cinquecentesche. Quella di sinistra, snella e di una sobria eleganza, presenta nella vasca un disegno costituito da un triangolo formato da tre pesci, attaccato da due serpenti che non riescono ad oltrepassare la barriera: si rappresenta l’inefficacia del peccato (i serpenti) contro la perfezione divina (il triangolo). L’acquasantiera di destra, in realtà una fontana adattata ad acquasantiera nel XVIII secolo, reca invece sul bordo esterno della vasca un’iscrizione con l’anno di fabbricazione del pezzo (1555) ed il nome del priore del tempo, nonché tre teste leonine aggettanti. Il piede della fontana-acquasantiera è scolpito con due stemmi, l’uno appartenente all’Ordine domenicano e l’altro non più leggibile. In quest’ultimo si è proposto di leggere un’abrasione volontaria dello stemma Carafa per damnatio memoriae, in circostanze che devono essere tuttavia ancora verificate. Presso l’ingresso si può ammirare anche l’organo a canne, esemplare settecentesco variamente rimaneggiato e in attesa di restauro.
Proseguendo lungo la navata, sulla pavimentazione nei pressi dell’area presbiteriale è ancora apposta la lastra indicante l’antico accesso alla cripta dei frati, recante tra gli altri elementi un’iscrizione quasi totalmente scomparsa e l’anno 1750. La cripta, fino a qualche tempo fa facilmente accessibile dall’ingresso spostato nella quinta cappella di sinistra, si costituisce di un basso ed angusto ambiente con rustica copertura a volta. Lungo le pareti sono dislocati i sedili lapidei sui quali venivano adagiati i corpi dei defunti. Completa l’arredo l’altare trilitico ugualmente in pietra.La fossa quadrata, che si apre davanti alla quarta cappella di sinistra e che è stata chiusa recentemente con lastra vitrea, indicherebbe il luogo del rinvenimento della statua mariana. A dividere la zona dell’altare dallo spazio della navata era, fino agli anni ’70 del Novecento, la bella recinzione presbiteriale settecentesca che fu poi rimossa e parzialmente rimontata nella quinta cappella di sinistra. Lavori eseguiti nel 2007 ne hanno sancito la completa rimozione.Dubbi persistono circa la provenienza e la datazione dei due leoni in pietra posti a fiancheggiare l’area presbiteriale. Potrebbe trattarsi di due leoni romanici stilofori provenienti dalla chiesa di Santa Maria a Casale, chiesa d’origine della scultura della Libera, dove si suppone potessero essere utilizzati come basi di colonne nell’ambito di un pulpito o del portale d’ingresso. Databili con qualche esitazione al XIII-XIV secolo, i due leoni furono reimpiegati nella balaustra che fungeva da recinzione presbiteriale e, dopo la rimozione di quest’ultima, trovarono l’attuale collocazione.La porta posta nella quinta cappella di destra, che permette l’accesso all’anticamera della sagrestia, fu probabilmente realizzata nel XVII secolo e reca battenti lignei scanditi in riquadri alternamente quadrangolari con rosetta centrale e rettangolari a specchiatura liscia. Il coro in legno di noce, che fa da corona al trono della Madonna della Libera, si presenta purtroppo ridimensionato secondo il taglio operato nella seconda metà del Novecento allo scopo di liberare lo spazio dell’altare. Di probabile origine settecentesca, si costituisce di due fila di sedili decorati con intagli a volute e, nelle specchiature superiori, lesene aventi capitelli compositi sorreggenti una trabeazione liscia. Lo stallo centrale è segnalato da un’imponente struttura lignea a baldacchino. Del tardo novecento sono le tre vetrate policrome, presenti due nell’area del coro ed una in controfacciata.Lavori imponenti sono stati realizzati dopo il terremoto del 2002. Il santuario, che versava in una situazione già precaria dal punto di vista strutturale, fu così ulteriormente e gravemente danneggiato, rendendo pertanto necessaria un’operazione di consolidamento generale delle pareti e delle coperture. Sulla scia di tali lavori, verso la fine del 2007 sono stati eseguiti ulteriori interventi, ritenuti funzionali ma purtroppo non sempre rispettosi del principio di conservazione delle memorie storiche ed artistiche del luogo. Le cappelle di sinistra:La prima cappella di sinistra (contando dall’ingresso verso l’altare) è oggi arricchita dalla presenza di una tela realizzata da Nicola Fenico di Campobasso nel 1686 e rappresentante San Pio V tra i Santi Raimondo di Peñafort, Ludovico, Biagio e Vito. A terra era posta una lapide con un’iscrizione che attestava il nome del patrono della cappella, Francesco Marcucci, che qui fu sepolto (la lapide, che risultava ben visibile tra le piastrelle della pavimentazione, è stata inspiegabilmente rimossa nei lavori del 2007 e quindi dispersa). Un suo ritratto è presente nella tela della Madonna del Carmine, da lui commissionata agli inizi del Seicento ed oggi posta nella quinta cappella di sinistra.
La seconda cappella di sinistra è dedicata al Sacro Cuore di Gesù, con statua di fattura moderna.La terza cappella di sinistra reca una nicchia con la statua di San Giuseppe. È invece scomparsa la tela commissionata nel 1623 dal cercese Domenico Leone al pittore Matteo Brunetti da Oratino, che rappresentava un trittico con l’Annunziata tra i Santi Vincenzo Ferrer e Pietro Martire.La quarta cappella di sinistra è dominata dalla statua lignea di San Vincenzo Ferrer della metà del Settecento, realizzata da Paolo Saverio di Zinno, famoso scultore campobassano che costruì le macchine dei Misteri portate ancora in sfilata a Campobasso nel giorno del Corpus Domini. Sulla parete destra della cappella era apposta una lunga iscrizione di Vincenzo Rocca, arciprete di Cercemaggiore e futuro vescovo di Larino, morto nel 1845. L’iscrizione, che riassumeva la storia del santuario di Santa Maria della Libera dalla fondazione al 1816, è stata asportata durante i lavori del 2007 e poi perduta.La quinta cappella di sinistra accoglie la tela della Madonna del Carmine, raffigurata al centro tra San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena e circondata da pannelli recanti le Storie dei due Santi. Il quadro fu dipinto da Sebastiano Pascale di Capua nel 1612 su commissione di Francesco Marcucci, ritratto in basso al centro con abito nero ed ampio colletto bianco, secondo i dettami della moda dell’epoca. Nel riquadro centrale in alto è dipinto il leone di San Marco, stemma della famiglia Marcucci. Il nome di battesimo del nostro Francesco Marcucci spiega, invece, la presenza della figura di San Francesco in una chiesa domenicana. La tela della Madonna del Carmine era originariamente collocata nella cappella di proprietà del committente, ossia la prima di sinistra. Nella quinta cappella di sinistra, sulla parete a ridosso del presbiterio, era apposta la lapide originale di Alberico Carafa (rimossa nel 2007), indicante in quel punto la sepoltura delle ceneri e del cuore del fondatore del complesso, morto nel 1501 (o nel 1504, come riportato da altre fonti). Là dove era collocata la lapide del Carafa oggi è presente l’iscrizione commemorativa di P. Giordano Pierro, che prima si trovava nella stessa cappella ma sulla parete opposta. Il Pierro, che nacque nel 1890 e morì nel 1925, è celebrato in quanto autore di una Storia di Cercemaggiore e di un testo sul convento della Libera. Le cappelle di destra:La prima cappella di destra aveva un altare consacrato dal Cardinale Orsini nel 1711, come testimoniava un’iscrizione dispersa. Oggi la cappella è ornata soltanto da un Crocifisso ligneo di fattura moderna.La seconda cappella di destra è dedicata a San Domenico di Guzmán, come testimoniano ancora l’iscrizione orsiniana del 1699 e la statua del Santo, portata in processione il 4 Agosto.La terza cappella di destra è intitolata a San Biagio, protettore della gola e uno dei Santi più venerati nel santuario.La quarta cappella di destra è dedicata a Santa Lucia, Sant’Agata e Santa Apollonia, protagoniste della tela tardo rinascimentale che campeggia sull’altare. Patrono della cappella era Giovanni Leonardo Massari, ricordato da un’iscrizione, mentre un’altra iscrizione ne compiange il figlio, Vincenzo Maria Massari, morto in giovane età.La quinta cappella di destra era dedicata alla Madonna del Rosario, con tela della Vergine del Rosario e i quindici Misteri, realizzata nel 1594 e poi dispersa. Oggi la cappella ospita la tela della Madonna dell’Arco, dipinta da Nicola Fenico di Campobasso nel 1687. Sono qui raffigurati la Vergine tra Santa Maria Maddalena, Santa Caterina, San Giacinto, Santa Rosa ed angeli. L’iscrizione posta sul portale di accesso all’anticamera della sagrestia indica la consacrazione del cardinale Vincenzo Maria Orsini, avvenuta l’8 agosto 1690. Sulla parete presbiteriale è collocata la memoria funebre di P. Gaetano Capasso, morto nel 1907.
Il campanile Passando dalla chiesa al vestibolo della sagrestia, si incontra sulla sinistra la porta con la scalinata che conduce al campanile. Elevato nel 1503 e ridotto all’altezza odierna nel 1699 per motivi di sicurezza, il campanile conserva tre campane (la più grande del 1782, la media del 1902 e la più piccola del 1828) e due antichi volti apotropaici in rilievo (uno al lato del primo scalino in pietra posto nel vestibolo della sagrestia e l’altro sull’esterno della torre campanaria).
La sagrestia La sagrestia custodisce un’antica iscrizione funeraria romana nella quale due genitori, Manlio Fileros e Manlia Montana, compiangono la morte del giovane figlio Zosimo, morto all’età di 22 anni, 7 mesi e 21 giorni. Il cippo iscritto fu riutilizzato capovolto per l’edificazione della torre campanaria, che ebbe termine nel 1503, e fu rinvenuto nel 1978, nell’ambito di alcuni lavori. Altro importante pezzo della sagrestia è il bancone in legno di noce firmato da Giuseppe Bruno nel 1773. (a cura di Valentina Marino).