Rosaria: “Ho trasformato il dolore della perdita di mio figlio in un’ azione positiva per far sorridere gli altri”
La clown terapia è nata in Abruzzo grazie a Rosaria Spagnuolo, la presidente della Ricoclown Onlus associazione che cerca di portare un sorriso dove c’è bisogno. Di seguito l’intervista.
Mi parli un po’ di te?
Sono nata e cresciuta a Roma. Abitavamo di fronte all’istituto Salesiano di San Giovanni Bosco, un luogo a me molto caro e dove andavo sempre, prima da bambina per incontrare amici e poi da grande come educatrice e catechista. Dopo la laurea in Pedagogia frequentai un master di “Progettisti per formazione” organizzato dall’Ancifap del gruppo Iri. Era questa una figura molto richiesta all’epoca. Subito dopo un colloquio con la ex Siv (attuale Pilkington) di San Salvo mi assunsero a tempo indeterminato. L’anno successivo mi sono sposata con il mio fidanzato di Borrello. L’ambiente di lavoro era molto maschilista e subivo vero e proprio mobbing. Per questa ragione mi impegnai tantissimo per vincere due concorsi per l’insegnamento. Nel 1990 a 27 anni divenni insegnante di ruolo alla scuola materna e nel 1991 passai alle elementari. Il 25 settembre del 1992 è nato il mio primo figlio Enrico e il 5 giugno del 1996, il secondo figlio Andrea. Già quando Enrico aveva pochi mesi lo dovemmo portare al Bambin Gesù di Roma ma non avevano capito cosa avesse. A 5 anni cominciò a star male di nuovo, lo riportammo sempre al Bambin Gesù e lì gli diagnosticarono la Biller, una malattia genetica che attacca il fegato e che gli procurava un prurito incredibile a tutto il corpo. Per fortuna l’abbiamo scoperto dopo la nascita del secondo figlio altrimenti non l’avremmo concepito. Cercavo tutte le terapie possibili anche quelle alternative nella speranza che mio figlio potesse guarire e stare bene. Quando ebbe 10 anni si rese necessario un trapianto di fegato e andammo nel miglior centro a Bergamo. Aveva appena fatto l’esame di quinta elementare e tutti in famiglia ci trasferimmo lì. Da sola non ce la potevo fare ad affrontare una cosa così grande. E così ero divisa tra lo stare con Enrico in ospedale e con Andrea a casa. Nel reparto c’erano altri bambini malati e abbiamo anche visto qualcuno morire. Enrico aveva paura. Dopo il primo trapianto, ha subito un altro intervento e un secondo trapianto. La lacerazione di un’arteria epatica l’ha portato via da me per sempre, qualche giorno prima del suo undicesimo compleanno. Quando successe chiesi a Dio e a lui di non farmi impazzire dal dolore.
Cosa ti ha aiutato a superare questi momenti?
L’enorme dolore resta, neanche il tempo riesce a lenirlo ma l’ho trasformato in un azione positiva: far sorridere gli altri. Enrico ha vissuto solo 11 anni e la sua brevissima vita è stata caratterizzata dal gioco, la scuola e la conoscenza dei clown di corsia che sono riusciti a farlo sorridere negli ultimi mesi di vita. Il sono fondamentalmente concentrata sulla scuola e sulla Ricoclown, ambiti in cui cerco di dare davvero il massimo. I miei alunni sono tutti quel figlio che è venuto a mancare e quando vedo uno che ha maggiori difficoltà ancora di più. Cerco di non dare solo nozionismo ma di trasmettere tanta positività. Ogni mattina porto qualcosa di nuovo un po’ come Mary Poppins, a cui qualcuno avvolte mi ha paragonata. Anche se fisicamente Enrico non c’è più io so che lui mi è vicino e lo è stato anche in tutti i momenti difficili della mia vita come quando ho avuto difficoltà con l’associazione e ho dovuto combattere quando abbiamo scoperto la celiachia di Andrea, quando nel nostro territorio non c’era nulla.
Come e perché è nata la Ricoclown Onlus?
Quando osservavo Enrico mi immaginavo che da grande sarebbe diventato un comico. Lì a Bergamo, restò affascinato da questi clown di corsia. Da noi non c’erano, erano una novità assoluta. Una volta lo attirò un libro di magia che uno di loro aveva in tasca e con un filo di voce glielo chiese. Il clown rispose “questo non te lo posso dare ma te ne porterò un altro il 15 agosto”. Con mio grande stupore quel volontario il 15 agosto tornò da lui e gli regalò quel libro. Enrico un giorno mi disse “Mamma quando torniamo a Vasto lo facciamo anche noi?”. Tenni fede a quella promessa e appena Enrico è morto ho contattato l’associazione di Bergamo e nel giro di qualche mese, io e mio marito abbiamo iniziato il corso di clown terapia. Ricordo ancora il primo giorno all’ospedale di Ancona: io ero sotto vestita tutta di nero perché sentivo il desiderio di portare il lutto e sopra avevo un camice abbottonatissimo tutto colorato. Parlare di clown terapia a Vasto era impossibile perché non sapevano cosa fosse. Ma Dio volle che tra le mie alunne c’era la figlia di due medici e grazie a loro riuscii a portare la clown terapia anche a Vasto come succursale dell’associazione di Bergamo. Ho fondato con mio marito l’associazione Ricoclaun nel 2004, fino al 2006 facevamo parte della federazione Vip Viviamo in positivo, ma sempre come Ricoclaun poi mi staccai dalla sede principale e creai la Ricoclown Onlus.
Cosa significa per te essere una clown di corsia?
Dare quel buonumore che mio figlio ha ricevuto quando stava in ospedale a Bergamo. Il sorriso è la migliore cura dell’anima per ogni età. Noi entriamo in punta di piedi perché siamo semplici ospiti dell’ospedale. Una volta capitò che nel nostro gruppo c’era uno con la chitarra a un certo punto ci chiamò la figlia di una signora che stava morendo e ci disse: mamma vi vuole. Quella donna ritmava con le mani un canto intonato da tutti noi e con il sottofondo della chitarra e poi si è lasciata andare. Stavamo tutti con le lacrime agli occhi ma allo stesso tempo sapevamo che avevamo fatto qualcosa di bello per quella donna e la sua famiglia. Fare la clown mi fa mettere punti per la mia ascesa al Paradiso, così quando sarà starò di nuovo vicino a mio figlio. Inoltre ho sperimentato che ogni gentilezza fatta al prossimo diviene radice di un’altra gentilezza. Il mondo ha bisogno di positività.