Rimanere e dimorare.
V settimana di Pasqua – Mercoledì
Commento al Vangelo – Gv 15, 1-8
A cura di don Giovanni Boezzi
La liturgia di oggi sottolinea la necessità di “rimanere” in Gesù, un tema particolarmente caro all’apostolo Giovanni. Nella sua prima lettera afferma: “Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui”. E nella parabola della vite i tralci i termini “rimanere” e “dimorare” ne sono il cuore. Nelle parole di Gesù, c’è un cambiamento piuttosto singolare, la vite non è più Israele, ma lui stesso: “Io sono la vera vite”. Nessuno l’aveva mai detto prima. Per comprendere appieno queste parole è necessario collocarle nel contesto dell’ultima cena, quando Gesù le pronunciò. Quella sera il discorso ai discepoli fu lungo, complesso e con i toni di gravità propri degli ultimi momenti della vita: un vero e proprio testamento. Nel primo discorso chiarisce chi è la vera guida del popolo del Signore, e dice: “Io sono il buon pastore”. Subito dopo, iniziando il secondo discorso, afferma: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo”. Gesù si identifica con la vite, specificando che è la “vera” vite; ovviamente per distinguersi dalla “falsa”. Ma non è una vite isolata. Gesù aggiunge: “io sono la vite e voi i tralci”. I discepoli sono legati al Maestro e sono parte integrante della vite: non c’è vite senza tralci, e viceversa. Potremmo dire che il legame dei discepoli con Gesù è appunto come quello della vite con i tralci, essenziale e forte. È un legame che va ben oltre i nostri alti e bassi psicologici, le nostre buone o cattive condizioni. L’antico segno biblico della vigna riappare qui in tutta la sua forza. Con Gesù nasce una vigna più larga e più estesa della precedente e soprattutto percorsa da una nuova linfa, l’agape, l’amore stesso di Dio. La forza di questo amore è dirompente: permette di produrre molto frutto. Dice Gesù: “In questo è glorificato il padre mio: che portiate molto frutto”. Il Vangelo prosegue: “Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Sì, proprio quelli che “portano frutto”, conoscono anche il momento della potatura. Sono quei tagli che di tempo in tempo, appunto come accade nella vita naturale, è necessario operare perché possiamo essere “senza macchia” (Ef 5, 27). Il testo evangelico non vuol dire che Dio manda dolori e sofferenze ai suoi figli migliori per provarli o purificarli. No, non è in questo che va intesa la potatura, il Signore non ha bisogno di intervenire con le sofferenze per migliorare i figli. La verità è molto più piena. La vita spirituale è sempre un itinerario o, se si vuole, una crescita. Ma non è mai né scontata né naturale, e non è un progresso univoco. Ognuno di noi ha l’esperienza della crescita in sé stesso di frutti buoni assieme a sentimenti cattivi, ad abitudini egoistiche, ad atteggiamenti freddi e violenti, a pensieri malevoli, a spinte di invidia e di orgoglio. È qui che si deve potare, e non una volta sola, perché sempre si ripresentano questi sentimenti, seppure in modi e con manifestazioni diverse. Non c’è età della vita che non esiga cambiamenti e correzioni, e quindi potature. È la condizione per portare frutto per non seccarsi ed essere quindi tagliati e bruciati. Forse quella sera i discepoli non capirono, magari, si saranno chiesti: “ma che vuol dire rimanere con lui se sta per andarsene?” In verità, Gesù indicava una via semplice per restare con lui; si rimane in lui se le “sue parole rimangono in noi”. È la via che intraprese Maria, sua madre, la quale “conservava nel suo cuore tutte queste cose”. È la via che scelse Maria la sorella di Lazzaro, che restava ai piedi di Gesù.
Oggi prego con il salmo 121.
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Dal vangelo secondo Giovanni (15, 1-8)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».