Rileggere la passione oggi
Commento al Vangelo della Passione (Mt 26-27) di Don Giovanni Boezzi
Rileggere la passione oggi.
Con la domenica delle Palme inizia la settimana santa, momento centrale di tutto l’anno liturgico. Come consuetudine, meditiamo sulla passione del Signore, quest’anno nella prospettiva di Matteo, che ci offre una rilettura degli eventi alla luce della risurrezione. Il racconto si apre con il tradimento di Giuda che vende il suo maestro, stimandolo trenta denari.
Giuda è stato uno dei dodici, ma nonostante sia stato con lui, non l’ha conosciuto davvero. Segue il racconto della cena, una cena pasquale, dove Gesù istituisce l’eucaristia. Nei segni del pane e del vino c’è la sua vita donata: Gesù la celebra con la sua comunità, una comunità non di “perfetti”, ma di discepoli peccatori, come noi. Giuda lo sta tradendo; Pietro lo rinnegherà; tutti gli altri scapperanno nell’ora della prova. Gesù conosce ogni cosa, avverte che la sua ora sta per compiersi e la affronta pregando.
Per la prima volta chiede ai suoi discepoli di aver cura di lui, che preghino per lui, con lui. Commuove come il Signore non entri nella sofferenza da supereroe, ma senta paura, angoscia. Dopo la cattura ecco un processo religioso che si rivela una enorme bugia: tutto è “costruito” per trovare un capo d’accusa contro di lui. A Gesù viene chiesto se è lui il Messia, il Figlio di Dio.
Gesù risponde rinviando Caifa alle sue parole e alla sua coscienza (“Tu l’hai detto”: Mt 26,64). Gesù viene poi percosso, umiliato. Pietro, intanto, per la paura finge di non conoscerlo, rinnegando la sua amicizia con lui. Il canto del gallo ne scuote la coscienza e, uscito fuori, piange amaramente. Invece Giuda nella sua disperazione si suicida.
Gesù è condotto da Pilato: il processo religioso poteva accusarlo, ma non condannarlo a morte. Pilato interroga Gesù, temendo che volesse diventare re di un piccolo popolo: “Sei tu il re dei giudei?”. La risposta di Gesù è una domanda che rinvia Pilato alla sua coscienza. Pilato coglie l’innocenza di Gesù, ma lo fa ugualmente consegnare alla morte, lavandosene mani e coscienza.
Gesù dopo esser stato flagellato viene condotto sul Golgota, dove viene crocifisso tra due malfattori. Gesù anche sulla croce prega il Padre e pone un’ultima domanda: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Non è una contestazione, ma una preghiera, una richiesta di luce nella tenebra, una confessione: “O Dio, ti resto fedele, anche ora, anche se mi sento come un uomo abbandonato!”. Nessuno tra i presenti può comprendere, ma solo un centurione pagano, sotto la croce, vedendo quella morte arriva a confessare: “Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27,54).
Così, mentre scende la sera e il corpo di Gesù viene deposto in un sepolcro da discepoli e discepole, in un pagano nasce la fede in Gesù: in quella morte il centurione vede che Gesù ha speranza, che resta fedele a Dio, che vive quella fine come offerta della sua vita. Quella morte comincia ormai a manifestarsi come vita, finché il terzo giorno si manifesterà in pienezza nella risurrezione: la Pasqua che tutti i discepoli inizieranno a celebrare ogni giorno inizia qui, e noi viviamo, nell’attesa della Sua venuta!
Allora domandiamoci: che senso ha per noi leggere, meditare, celebrare la passione e morte di Gesù Cristo oggi? La meditazione della passione e morte di Gesù ha lo scopo di aiutarci a capire qualcosa dell’amore di Dio per noi. Ascoltando il racconto della passione di Gesù possiamo comprendere che l’inno alla carità dell’apostolo Paolo parla prima di tutto dell’amore di Dio e di Gesù per noi: proprio davanti alla croce possiamo capire che la carità è paziente, è benigna, tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta e non avrà mai fine.
Possiamo concludere con le parole del Papa Giovanni Paolo II, sempre nell’Enciclica Evangelium vitae, 50: «La meditazione della croce di Cristo a questo punto si fa lode e ringraziamento e, nello stesso tempo, ci sollecita a imitare Gesù e a seguirne le orme. Anche noi siamo chiamati a dare la nostra vita per i fratelli, realizzando così in pienezza di verità il senso e il destino della nostra esistenza. Lo potremo fare perché tu, o Signore, ci hai donato l’esempio e ci hai comunicato la forza del tuo Spirito. Lo potremo fare se ogni giorno, con te e come te, saremo obbedienti al Padre e faremo la tua volontà. Impareremo così non solo a “non uccidere” la vita dell’uomo, ma a venerarla, amarla e promuoverla».