Ricordando Annamaria Meola
Nel nostro cammino, capita che incontriamo delle persone che ci entrano nel cuore, anche se non comprendiamo il perché. Una di queste era Anna Maria Meola. Il ricordo più bello di lei risale al 20 marzo 2009, uno dei giorni più tristi della mia vita. Era periodo di Pasqua e Anna Maria era venuta a farmi visita insieme alla sua bellissima famiglia. Quella sera arriva la telefonata che mio fratello era venuto a mancare. Anna Maria, con un fare da sorella mi dice: “Non ti preoccupare vai, mi occupo io dei tuoi figli”.
Di seguito la sua storia raccontatami dal marito Paolo e dalla sorella Luigia qualche giorno dopo il suo funerale.
Giovanni Meola (originario di Benevento) era arrivato a San Salvo insieme alla sua bellissima moglie Francesca (originaria di Castel Baronia) e ai suoi tre figli nel 1966. Dopo tanto girovagare per motivi di lavoro era arrivato in questa piccola cittadina perché aveva sentito che c’era bisogno di manodopera per la Siv.
La famiglia cresceva e Anna Maria era l’ottava di dieci figli. L’allegria e una grande armonia regnavano in quella casa: erano molto uniti tra loro. Nonostante un solo stipendio, Giovanni e Francesca non facevano mai mancare nulla in casa. Il papà stesso costruiva giocattoli di legno per i suoi figli. Nel giorno di Natale la mamma diceva sempre: “Mi manca Natalino (secondogenito nato e morto il giorno di Natale)”.
A quattordici anni, Anna Maria conosce Paolo in una discoteca ed è amore a prima vista! Il 7 giugno 1987 i due convolano a nozze e decidono di stabilirsi a Casalbordino. Anna Maria sente la mancanza della sua grande famiglia di origine e così dopo un anno la coppia si trasferisce a San Salvo.
Quasi per gioco comincia a leggere le carte in spiaggia alle amiche. In poco tempo diventa una cartomante molto conosciuta non solo a San Salvo ma anche in altri paesi. Era diventata una “cartamanager” di successo che guadagnava anche tanto. Tutte le persone care le dicevano: “non è una cosa buona, non lo fare più”. E lei rispondeva “Ma non faccio niente di male”.
Un giorno va da Elisabetta, una donna di Termoli molto malata, pensando di doverle leggere le carte. Invece quella donna le chiede: “Anna Maria perché leggi le carte?”. E questa donna le comincia a parlare di Dio e dei suoi insegnamenti e di quanto fosse sbagliato quello che faceva.
Anna Maria si affeziona a quella signora e quasi ogni domenica la va a trovare ma non smette di leggere le carte. Ogni giorno Elisabetta la chiamava e pregava per lei. Nell’ottobre del 1993 Elisabetta, la cui malattia avanzava sempre più, la chiama e le strappa una promessa: “domenica vai a messa?”. Quella domenica la chiesa di san Giuseppe era piena di gente e un signore di Chieti testimoniava come era cambiata la sua vita grazie al cammino dei Neocatecumenali. Anna Maria resta molto colpita da quella testimonianza e propone al marito di intraprendere quel cammino di fede. Da una parte si avvicina alla fede e dall’altra continua il suo “leggere le carte” dando però indicazioni di andare a messa e di avvicinarsi a Dio. Dopo un anno, le persone più avanti nel cammino, cercano di farle capire quanto era sbagliato il leggere le carte. Con molta difficoltà riesce pian piano ad allontanare tutti i suoi clienti, a liberarsi di questo “vizio” e a scegliere definitivamente Dio.
Da autodidatta impara a suonare la chitarra per lodare Dio anche con la musica. Da ex cartomante che andava in chiesa solo a Pasqua e a Natale, era diventata un’annunciatrice travolgente e gioiosa dell’amore di Cristo per ogni uomo. Lei stessa dava testimonianza a tutti della sua conversione alla fede.
Dopo dieci anni di matrimonio, a giugno del 1996 Anna Maria resta incinta della sua prima figlia. Subito si reca da Elisabetta per darle la bella notizia e per chiederle di diventare la madrina di battesimo della nascitura. Restando sempre aperta alla vita, nel 2001 arriva il secondo e nel 2006 il terzo figlio.
A marzo 2008 sopraggiunge la scoperta del tumore e Anna Maria affronta tutto con una grande forza: da sola andava a Pescara in treno per le radioterapie. Completa tutte le cure prescritte e infonde coraggio a chi incontra e si trova nella sua stessa situazione. Diceva sempre “Ho un amico potente che mi protegge”. Quando sembrava che fossero trascorsi i fatidici 5 anni, la malattia si ripresenta fino a condurla verso la patria celeste dopo la recita del rosario e delle litanie in piena grazia di Dio e con le mani strette a quelle di una delle sue amatissime sorelle.
Lei stessa aveva organizzato il rito religioso del suo passaggio come una grande festa e scegliendo dei canti molto gioiosi. Ha voluto una tunica bianca semplice, senza scarpe, solo calzini bianchi.
“Che la mia scelta sia per voi un esempio a non essere attaccati morbosamente alle cose materiali. Voglio che tutti voi che mi sarete vicini dovete cantare,pregare e gioire perché vado in un luogo migliore….nel cielo…Non voglio fiori ma opere di bene” Anna Maria Meola.
Anna Maria ha affrontato la malattia con una grande forza interiore e con le sue tre famiglie (come ha detto Don Andrea Manzone: la famiglia che si è costruita, la famiglia di origine che oggi conta 55 membri, e quella della comunità dei Neocatecumenali) sempre accanto. Senza mai perdere la speranza e innamorata della vita, col sorriso e con una gioia che traspariva dai suoi occhi, ha sempre testimoniato la sua fede a tutti con una forza travolgente. L’ultima dottoressa che l’aveva presa in cura, non solo da un punto di vista medico ma anche umano (la dottoressa Consilia Carella di Chieti), la chiamava il “tiramisù” degli altri malati ricoverati.
Di seguito la testimonianza di don Andrea Manzone nel giorno del funerale di Annamaria (26 dicembre 2020)
RIFLESSIONI SU UN FUNERALE DIVERSO Sono appena tornato a casa e ho ancora negli occhi le scene uniche di questa mattina. Non si tratta di un film, di un incontro tra amici…ma di un funerale. Anna Maria aveva (ha) 46 anni, tre figli e tanto altro. Anna Maria aveva (ha) una vitalità interiore pazzesca; un’allegria travolgente, una gioia di vivere di rara limpidezza. Ma Anna Maria aveva (ha) anche un segreto, un segreto che però tutti conoscevano: una grande e granitica fede. Una fede nel Signore Gesù che le aveva (ha) dato la forza per vivere questi anni di malattia non solo con dignità, con la sua solita effervescenza, ma con una straordinaria serenità che sapeva diffondere con una spontaneità disarmante. E quindi oggi l’abbiamo salutata perchè il male, il Drago, sembra averla vinta, sopraffatta. Sembra. Gli abbiamo riso in faccia alla morte: abbiamo cantato con tutta la voce che usciva dalla gola, abbiamo battuto le mani, ci siamo scambiati sorrisi colmi di gratitudine. Abbiamo visto una famiglia provata dal dolore, dalla sofferenza vissuta, ma con gli occhi levati verso l’alto, verso quel Signore della vita e della morte. Anna Maria aveva (ha) tre famiglie: la sua famiglia di provenienza, numerosa e unita, la famiglia che insieme a Paolo ha messo su, con i suoi tre figli, e poi la terza famiglia, quella ecclesiale, quella della comunità neocatecumenale. Oggi c’erano tutte le sue famiglie, e insieme a loro un mare di gente che non sono venute ad un funerale di un personaggio importante, ma di una grande donna, grande perché semplice, e semplice perché viva. E dall’alto del presbiterio vedevo i volti di tanti, sentivo i canti e mi chiedevo: ma chi sono gli illusi? Noi che crediamo alla vita eterna, che ci crediamo anche di fronte a una bara, oppure gli altri, che “la vita è tutta qui, godiamocela finché non arriva la morte”? Dall’alto del presbiterio vedevo tanti volti e pensando a tante storie pensavo davvero che Anna Maria, questa mattina, era più viva di tanti di noi, che eravamo in piedi, a respirare. Si, perché la vita, quella vera, buca il tempo, supera le distanze, rinverdisce i ricordi e accende la speranza. E la speranza l’abbiamo cantata in ogni modo, con ogni gesto. Concludo con un ricordo personale: durante l’udienza papale del 15 maggio 2013 sono stato con Anna Maria e, raccontandomi della sua malattia, mi ha chiesto preghiere; le ho dato un’immagine di Chiara Corbella, anche perchè tra mamme se la intendono meglio (e tutte e due hanno tre figli). Qualche mese, rincontrandoci, mi ha detto che l’aveva molto aiutata…Non ne avevo dubbi, Chiara fa sempre un buon lavoro. Quindi sono obbligato ancora una volta a concludere con … “Siamo nati e non moriremo mai più”! …… E SONO PASSATI TRE ANNI…MA TU SEI SEMPRE PIÙ