Perché il poveri sono i nostri maestri
(Articolo di fra Emiliano Antenucci)
Per la società i poveri sono degli stigmatizzati, degli invisibili, degli emarginati o peggio dei morti sociali. No, per noi cristiani i poveri sono la carne di Cristo, la Basilica Maggiore (Don Tonino Bello) e il vero tesoro della chiesa, che come ci ha detto Gesù’: “Li avrete sempre con voi”.
Non basta solo dare ad un povero un panino, dei soldi, un bicchiere caldo di tè o una coperta per la notte, ma bisogna “condividere” con loro attraverso l’apostolato dell’ascolto, il linguaggio del silenzio e l’eloquenza delle lacrime e dei sorrisi la loro vita. Alle volte, noi cristiani, siamo più assistenti sociali che cirenei della gioia o buoni samaritani. Ci sono delle associazioni di volontariato laiche ed anche atee che fanno carità meglio di noi.
Qual’è la differenza? Nel volto del povero c’è il volto sfigurato e martoriato di Cristo, c’è scritta tutta la sua vita che ti richiama alla tua, a non essere egoista, presuntuoso e avaro soprattutto di carezze, di sguardi e di sorrisi. Bisogna annunciare il Vangelo con gioia ai poveri: “Tu sei una persona, non un rifiuto, amata da Dio, hai una dignità, un valore e la tua vita ha un senso su questa terra”. Annunciare ai poveri la Speranza cristiana, che è la zattera di salvataggio e per Peguy è la piccola “bambina irriducibile” molto più importante della fede e della carità.
Non siamo noi ad amare i poveri, ma dobbiamo essere noi a lasciarci amare dai poveri. Non siamo noi che aiutiamo i poveri, ma sono loro che aiutano noi a non essere concentrati su noi stessi, tristi, formali, vanitosi o cristiani comodi con le pantofole oppure da salotto o da élite. I poveri sono i nostri maestri, la scuola è la strada, i libri da leggere e sfogliare con delicatezza sono le loro vite e gli esami sono le parole, i gesti e gli atti d’amore fatti a loro nel nome di Cristo. Ricordiamoci sempre che amare non è solo dire ad una persona: “Tu non morirai”, ma amarla in Cristo vuol dire: “Tu risorgerai”. Si, risorgerai dall’immondizia, dalla puzza dei cartoni, dagli sbagli della vita e dalle tombe-sottopassaggi delle ferrovie e dei ponti stradali.
Una sera andando a cena con due di loro che sono subito diventati miei carissimi amici, li osservavo con tenerezza per la loro semplicità e spontaneità disarmante. Durante la cena uno fa bere il vino che aveva preso con il suo bicchiere all’altro e gli dice: “Assaggia, senti quanto è buono questo vino!”. Tra me e me pensavo: “Quanta solidarietà e quanto altruismo per le piccole cose che hanno”. Nelle serate di Gran Galà c’è tanta formalità, compostezza: 10 forchette, 10 coltelli, 10 cucchiai, 10 bicchieri… ma freddezza, non amore, frecciate dietro le spalle, facce mascherate da sorrisi falsi, apparenze pavoneggianti e relazioni basate sui propri interessi.
Ricordiamo sempre che siamo tutti poveri, anche chi è ricco, ma povero di umanità e di spiritualità. Bisogna educarci alla Bellezza, dono di Dio, come dice un proverbio indiano: “Se tu hai due pani, uno dallo al povero, l’altro vendilo, compra un fiore e dallo al povero. Il povero ha diritto anche al fiore”. Tutti hanno diritto alla Bellezza, soprattutto i poveri che l’hanno persa per la loro vita che è brutta e disagiata. Infine come ci ricorda Papa Francesco: “I poveri sono il nostro passaporto per il paradiso”.