Nazareth: il matrimonio come vocazione
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Carissimi, in un’epoca di programmazione del tempo e della propria vita, secondo le logiche dell’efficienza, Maria sembra non avere progetti suoi. È vergine, madre e sposa di Giuseppe perché aderisce al disegno che Dio le manifesta negli eventi e attraverso l’angelo, giacché da parte sua, ella «non conosce uomo» (Lc 1, 34-35). Parimenti Giuseppe è sposo, padre e vergine per volere di Dio, perché personalmente è innamorato di Maria e, quando si accorge che Maria è incinta, rinuncia in cuor suo a sposarla, ma l’angelo in sogno gli indica il progetto, chiaramente non scelto da lui (Mt 1, 19-20). Egli è disposto a «perdere» in cuor suo Maria e, soffrendo, accetta di seguire una strada diversa da quella di lei. Ma Dio gli ridona l’unità con la sua donna e lo invita a «prenderla con sé» (Mt 1, 20), alludendo a prenderla nella sua anima, a fare del progetto di Dio in Maria la sua stessa vita, come verrà chiesto più avanti all’apostolo Giovanni, l’altro grande uomo invitato a stare vicino a Maria da Gesù stesso sulla croce (Gv 19, 26-27). Il discepolo prediletto infatti la «prenderà» con sé.
Essi sono e non sono una famiglia come le altre. Nell’amore verginale per Dio e nella casta donazione reciproca, Giuseppe e Maria vivono un amore che nulla ha da invidiare alle più famose coppie della storia, un amore fedele e forte difronte alle sofferenze trasformate in occasione di vita rinnovata, che si debba affrontare la nascita del Bambino in una stalla o la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù o l’incomprensione della gente.
Maria è sicuramente una sposa affettuosa e piena di tenerezze per il suo Giuseppe, anche se Giuseppe è e non è suo marito. Anche Gesù è e non è la sua creatura, come ben mostrano le frasi con cui il Figlio prende le distanze dalla figliolanza fisica (Mt 12, 46-50), ricordando ai genitori quella che è anche la loro vocazione primaria e cioè che Egli deve innanzitutto occuparsi delle cose del Padre suo (Lc 2, 48-50). È ciò che ognuno dei tre ha fatto, ciascuno secondo la propria chiamata. Maria infatti è proprio per aderire alla volontà del Padre che ha questo figlio e si prende cura di lui. Giuseppe a sua volta ha proposto ogni suo progetto personale ed anche tutta la sua vita a Maria e a Gesù, che Dio gli ha affidato e che rappresentano perciò la sua vocazione e il suo compito, la sua gioia e il suo pensiero quotidiano.
Maria e Giuseppe dicono agli sposi che ci si sposa per un misterioso intreccio tra attrazione e vocazione e che l’una non va senza l’altra. Gli sposi saranno tanto più consapevoli e felici del loro compito, se considereranno il matrimonio come una vera vocazione, a cui vengono chiamati indirettamente dall’evento dell’incontro con il/la compagno/a di vita, solo apparentemente causale. Giovanni Paolo II non perde occasione per sottolineare questa vocazione del matrimonio. Egli porta l’esempio di un suo compagno di studi: «Mai dimenticherò un ragazzo, studente del politecnico a Cracovia, che tutti sapevano aspirare con decisione alla santità. Aveva questo programma di vita. Sapeva di essere “creato per le cose più grandi”, come si espresse una volta Stanislao Kostka. E, al tempo stesso, non aveva alcun dubbio che la sua vocazione non fosse né il sacerdozio né la vita religiosa. Sapeva di dover essere un laico. Lo appassionava il lavoro professionale, gli studi di ingegneria. Cercava una compagna di vita e la cercava in ginocchio, nella preghiera. Non potrò scordare il colloquio in cui, dopo uno speciale giorno di ritiro mi disse: “Penso che proprio questa ragazza debba essere mia moglie, che è Dio a darmela”. Quasi non seguisse soltanto la voce dei propri gusti, ma prima di tutto la voce di Dio stesso. Sapeva che da Lui viene ogni bene, e fece una scelta buona. Sto parlando di Jerzy Ciesielski, scomparso in un tragico incidente in Sudan, dove venne inviato a insegnare all’università, e il cui processo di beatificazione è stato già iniziato» (Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, Milano 1994, pp. 137-138). Per terminare sempre con le parole di Giovanni Paolo II che sintetizza quando detto: «La famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa» (Familiaris consortio, n. 17).