«Ma oggi ormai, più della metà dei bambini hanno i genitori separati»
In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Carissimi, continuiamo ad ascoltare ed in questo caso a leggere la testimonianza di Emanuele, oggi ci parlerà della misericordia di Gesù e riconoscere la sofferenza dei figli. «Le profonde parole di Nostro Signore a Simone riecheggiarono con grande dolcezza nella mia anima… Lo so: “Colui al quale si perdona di meno, ama meno” (Lc 7,40-47), ma so anche che Gesù mi ha personato più che a santa Maddalena, poiché mi ha personato in anticipo, impedendomi di cadere» (Santa Teresa di Lisieux).
Mi ha colpito una riflessione che ho letto recentemente che metteva in luce il contrasto tra la misericordia di Gesù e la misericordia dei discepoli, sullo sfondo del racconto evangelico della moltiplicazione dei pani. La misericordia dei discepoli è una misericordia umana, se vogliamo, pratica, immediata; ma anche, talvolta, si potrebbe dire, frettolosa. In molti episodi, chiedono a Gesù, ad esempio, di mandar via la gente (con buone intenzioni: la gente ha fame e si fa sera…); oppure gli chiedono di intervenire perché qualcuno li sta assillando. La misericordia di Gesù è altra cosa. Alcune volte, può perfino sembrare brusca dapprincipio. Ma sempre induce a un cammino di conversione. Non lascia mai la persona come prima. Guarisce fino in fondo, sazia fino in fondo.
Vi trovo un’analogia con la situazione di chi oggi, tra i fedeli, ma anche qualche volta tra alcuni sacerdoti, pensa che “il” problema dei separati risposati sia quello di non poter accedere all’Eucaristia, e di conseguenza ritengono che il problema dell’allontanamento di molti separati dalla Chiesa e le critiche di rigidità e anacronismo che giungono alla Chiesa da più parti, semplicemente possa essere superato concedendo l’Eucaristia ai divorziati risposati. Si potrebbero approfondire e distinguere varie posizioni e sfumature, ma a me pare che tali posizioni, pur esprimendo sensibilità, attenzione, sincera empatia verso i separati che soffrono tale condizione, siano lontane dalla misericordia di Gesù. È la misericordia dei discepoli, non quella di Gesù. Solo la misericordia di Gesù, che talvolta sembra dura e perfino incomprensibile, fa crescere. Solo la misericordia di Gesù – io credo, e su di me e la mia famiglia l’ho sperimentato – è vera misericordia.
Da tempo, lo sappiamo, è in atto una vasta e profonda azione di persuasione collettiva tendente a rendere la separazione accettabile sotto ogni punto di vista. Molteplici fattori, che ormai costituiscono ampio oggetto di letteratura in ambito sociologico, psicologico, giuridico e morale, anche se con letture molto diverse dello stesso fenomeno, contribuiscono a dare della separazione un’immagine di normalità, lontana dalla realtà che conosce chi l’ha vissuta nella propria carne. C’è invece un primo dato che si impone all’esperienza, tanto evidente quanto negato e rimosso: non solo i coniugi, ma anche i figli soffrono. A qualunque età, anche se in modo diverso. Eppure, lo si nega in tanti modi. Spesso sono proprio i genitori a respingere l’idea di essere stati la prima causa delle sofferenze dei figli, che però spesso riemerge a distanza di tempo sotto forma di profondi sensi di colpa. In molti casi sono gli altri soggetti educativi, ai quali mancano gli strumenti culturali e, talora, le risorse umane e i mezzi materiali per gestire tali situazioni, che tendono a sottovalutare e perfino banalizzare il problema. Capita, ad esempio, che insegnanti ed educatori risolvano in modo tranciante tentativi di indurre azioni e attenzione specifiche, con frasi del tipo: «Ma oggi ormai, più della metà dei bambini hanno i genitori separati». Come se ciò potesse lenire la sofferenza che il bambino ha dentro di sé e sente soggettivamente, al di la di ogni statistica. A ciò ci si aggiunge il timore della ghettizzazione e un malinteso senso della privacy, per cui la giusta preoccupazione di non bollare e discriminare diventa spesso l’alibi per non riconoscere la situazione di questi nostri bambini.
Non ho mai tenuto un diario personale, ma dal momento della separazione ho iniziato ad annotare tante frasi pronunciate, eventi ed episodi vissuti da nostro figlio, dai primissimi tempi della separazione, quando aveva appena tre anni, sino ad oggi che è adolescente. Considero questa, a suo modo, una “storia sacra”. Talora la rileggo e vi ritrovo un’infinita gamma di sentimenti. Le sue rivolte, nei momenti in cui avevamo perso ai suoi occhi di bambino ogni autorevolezza, la sua rabbia e frustrazione nel non poter decidere con chi stare secondo la sua volontà, il conflitto di lealtà ora verso l’uno ora verso l’altra, l’irritazione per le nostre incomprensioni delle sue difficoltà quotidiane. Ma anche la gioia, talvolta espressa anche dalla mia stessa grafia del momento, per le sue tenerezze e generosità; l’allegria per la simpatia delle sue battute, che ha sempre amato tanto fare sin da piccolo.
E tante domande. A molte ho risposto. A tante altre non ho saputo rispondere. Non solo e non tanto perché spesso prevenivano eventi e situazioni, e sopravanzavano le mie capacità di risposta, ma spesso perché la risposta non c’era. Non potevo che abbracciarlo e stringerlo a me.
«I bambini possiedono un’anima pura, portatrice sana di speranza che non abbandona il sogno della propria famiglia, neppure di fronte ai drammi più grandi. La difendono, facendosene carico come dei piccoli soldatini; insistono a portarsi dentro tutti i pesi se si convincono che questo, in qualche modo, farà stare meglio i genitori o li riavvicinerà. Quando non accade, spesso vivono nel senso di colpa senza dare parola alle loro emozioni per non disturbare» (Barbara Baffetti, fa parte del Centro familiare Casa della Tenerezza a servizio della pastorale familiare della Diocesi di Perugia, nel quale è responsabile, insieme al marito, del percorso per separati e divorziati).
(fine quinta parte)