“L’insegnamento di Gesù: chi vuol essere il primo sia servo di tutti”
Commento al Vangelo di don Siimone Calabria
XXV DOMENICA DEL T.O.B (Sap 2,12.17-20; Sal 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37)
Gesù ci pone davanti le condizioni per essere veri discepoli: non anteporre nulla all’amore per Lui, portare la propria croce, seguirlo, essere servi.
Seguire Cristo mette dì fronte a noi esigenze, scelte, punti dì vista che fanno a pugni con la nostra logica (che è poi quella del mondo): “Fratelli miei, dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni. Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni” (Gc 3,16.4,1-3). Questa è una sfida, non una conferma.
Il Vangelo ci sorprende con parole insolite, ci consegna tre nomi di Gesù che vanno controcorrente: ultimo, servitore, bambino, così lontani dall’idea di un Dio Onnipotente.
Vediamo il contesto del brano. Gesù sta parlando di vita e di morte, sta raccontando ai suoi discepoli che tra poco sarà ucciso. È insieme con il gruppo dei più fidati, ed ecco che loro non lo ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che sta arrivando sul loro maestro e amico, tutti presi soltanto dalla loro competizione: “chi è il più grande tra noi?”.
Pensiamo alla delusione di Gesù. C’è da scoraggiarsi. Tra noi, tra amici, un’indifferenza così sarebbe un’offesa veramente imperdonabile.
Invece Gesù, non rimprovera gli apostoli, non li abbandona, non li allontana, non si scoraggia.
Anche noi senza accorgercene cerchiamo continuamente di essere riconosciuti, confermati, gratificati; e questo di per se non è cattivo. Comincia a diventare un problema quando tutta la nostra vita diventa una continua ricerca di conferme, di “primi posti”. Così Gesù combatte questo virus del “carrierismo” proponendo l’antidoto dell’ultimo posto: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Il primato, l’autorità secondo il Vangelo, viene solo dal “servizio”.
Se tu vuoi essere il primo, devi andare in coda, essere l’ultimo, e servire tutti. Mediante questa frase sintetica, il Signore inaugura un capovolgimento: rovescia i criteri che segnano che cosa conta davvero. Il valore di una persona non dipende più dal ruolo che ricopre, dal successo che ha, dal lavoro che svolge, dai soldi in banca; la grandezza e la riuscita, agli occhi di Dio, hanno un metro di misura diverso: si misurano sul servizio. Non su quello che si ha, ma su quello che si dà. Vogliamo primeggiare? Dobbiamo tornare ad essere “servi”. Questa è la strada.
“E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”. È il modo perfetto di Gesù di gestire le relazioni: non si perde in critiche o giudizi, ma cerca un primo passo possibile, cerca gesti e parole che sappiano educare ancora. E inventa qualcosa di inedito: un abbraccio e un bambino.
Tutto il Vangelo in un abbraccio, in un gesto che profuma d’amore e che apre un’intera rivelazione: Dio è così.
Al centro della fede un abbraccio. Tenero, caloroso.
E Papa Francesco, più volte ci ha ricordato: «Gesù è il racconto della tenerezza di Dio», un Dio che mette al centro della scena non se stesso e i suoi diritti, ma la carne dei piccoli, quelli che non ce la possono fare da soli».
Poi Gesù va oltre, si identifica con loro: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me”.
Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l’accoglienza, il servizio sarà il nome nuovo della nostra civiltà. Quando saremo in grado di dirci l’uno all’altro: “ti abbraccio, ti prendo dentro la mia vita”, allora, sentiremo che stiamo stringendo fra le braccia Gesù. Amen.