L’incompiuta “Adorazione dei Magi” di Leonardo capace di donare un messaggio profetico di “Speranza”
(Don Gilberto Ruzzi)
ABBIAMO VISTO LA SUA STELLA
“L’adorazione dei Magi di Leonardo”
La scena evangelica dell’arrivo dei Magi a Betlemme è una costante dell’arte figurativa cristiana. Iniziando dalle catacombe romane, attraverso l’importante mediazione dell’arte bizantina, per approdare al trionfo della pittura fiorentina dal XIII secolo in poi, i cicli delle “storie di Cristo” prima, e le pale d’altare poi, daranno ampio spazio a questo soggetto iconografico. La pittura rinascimentale, in particolare, si servirà di questo tema per celebrare fasti e glorie dei ricchi committenti: esempio eclatante è la famiglia Medici, con le opere di Botticelli e Benozzo Gozzoli.
La tavola che però ho scelto per questa sosta “epifanica” si colloca di fatto in un punto di confine, tra un’epoca ed un’altra. Sto parlando de l'”Adorazione dei Magi” di Leonardo da Vinci, una delle tante incompiute, per dirla con Vasari, del genio toscano. Datata 1481 commissionata dai Canonici regolari di Sant’Agostino per la chiesa di San Donato a Scopeto, a motivo della partenza dell’artista per Milano, nel 1482, restò a Firenze definitivamente incompiuta, divenendo patrimonio della Signoria e quindi degli Uffizi, dove oggigiorno si trova dopo i molti restauri.
Dove sta la differenza capitale tra la pittura rinascimentale precedente, alla quale comunque Leonardo strizza l’occhio, e la tavola degli Uffizi? innanzi tutto nella composizione: bandito il corteo trionfale ispirato a quello che annualmente si teneva a Firenze per rievocare l’arrivo dei Magi, l’impostazione della tavola, quasi quadrata, ha il suo centro nella figura della Vergine, altra novità da poco assunta da Botticelli, ma che nella tavola leonardesca risulta essere poco più di una serie di linee che ne definiscono la postura e la torsione, ma che sembra innescare un vero vortice che coinvolge fisicamente ed emotivamente i personaggi che stanno intorno.
È scomparsa la capanna: lo spazio è definito dalle figure che si assiepano in cerchi concentrici intorno alla Vergine col Bambino, ma alle loro spalle troneggiano la palma e l’alloro, simboli di vittoria e di glorificazione: il centro, dunque, è l’evento pasquale del Cristo.
Il non-finito leonardesco, con le sue preparazioni di base in tinte scure, fa emergere le figure che sembrano reagire ad un impulso dato dal gesto del Bambino sulle ginocchia della Madre. Sullo sfondo, prendendo spunto dalla pittura precedente e contemporanea, sta, abbozzato, un mondo in rovina che viene ricostruito … potrebbe essere un allusione al santuario del Corpo di Cristo distrutto e rialzato? …
Inoltre, scorgiamo tra mille segni, che ad uno sguardo superficiale possono sembrare poco più che abbozzi, un turbinio violento di vita che non sembra toccato dall’evento centrale che manifesta la presenza del Dio fatto uomo; una drammatica possibilità che i vangeli stessi registrano; una manifestazione, però, che trasforma quanti si sono lasciati raggiungere, interrogare e illuminare da questa luce innesca un movimento.
Scrive San Basilio il Grande (IV sec.) in una sua omelia sulla natività di Cristo nella quale esorta a unirsi alla gioia dei Magi «La stella si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vederla i magi provarono una grande gioia (cf. Mt 2,9-10). Accogliamo dunque anche noi questa grande gioia nei nostri cuori. Questa è una festa per tutta la creazione. Le stelle corrono nel cielo; i Magi vengono da una terra pagana, la terra riceve il bambino in una grotta. Non vi sia nessuno che non contribuisca a questa festa, nessuno si mostri ingrato. Facciamo risuonare anche noi un canto. Unisciti ai magi che nella gioia accolgono il Signore che scende dal cielo». (Omelia sulla santa nascita di Cristo, passim)