La spiritualità di Dio è estremamente carnale, e così la comunione con Lui
(Commento al Vangelo di don Andrea Manzone)
L’odierna liturgia della Parola prende avvio da un brano del libro dei Proverbi che parla della Sapienza e del suo agire. È fondamentale invocare il dono della Sapienza per entrare nel mistero davanti a cui ci pone il discorso di Gesù che ascolteremo nel Vangelo.
Sapienza, secondo un’assonanza del latino volgare, ha a che fare con il sapore: il sapiente è colui che sa discernere tra vari sapori e sa trovare quello autentico, genuino. Il Salmo 33 afferma: “Gustate e vedete com’è buono il Signore”! È l’esperienza del neonato, il quale non ha ancora il dono della parola e del ragionamento adulto, ma sa riconoscere la sapienza-sapore-amore della madre proprio mediante il gusto.
La sapienza allora ha a che fare con il cibo vero e con la bevanda verace: torniamo dunque ai temi ai quali Gesù ci ha abituati nei vangeli di queste domeniche, tratti dal cap. 6 di Giovanni.
Le parole di Gesù, che oggi ci sembrano rassicuranti e ricche di dolci promesse, suscitano negli ascoltatori un vivace dibattito destinato a finire male. Dove aver parlato di fame e di cibo, con un margine di lettura spirituale e quasi simbolica, Gesù scopre le carte e annuncia che il pane di cui sta parlando non è solo il pane della sapienza o quello della Parola di Dio, ma è un pane fatto di carne.
La spiritualità di Dio è estremamente carnale, e così la comunione con Lui. Il discorso prende subito una piega eucaristica: mangiare e bere di Lui è condizione sine qua non per essere vivi ed esserlo per l’eternità. Allo stesso tempo, questo cibo disceso dal cielo ci procura la comunione di vita con Dio: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui».
In quel pezzo di pane e in quelle poche gocce di vino su cui il presbitero invoca lo Spirito ogni giorno e ogni domenica c’è il segreto del mondo e il segreto della nostra vita. L’eucaristia diventa dunque il centro in cui si ricapitola tutta la storia dell’universo: lì Dio si impegna con l’uomo e l’uomo riceve vita da Dio. Lì l’uomo è invitato a mangiare (il verbo utilizzato dall’originale greco si riferisce spesso al masticare degli animali) e a diventare ciò che mangia, ossia il Cristo che si dona.
Il divino comando che ascoltiamo in ogni eucaristia – “fate questo in memoria di me” – significa portare a frutto ciò di cui ci si nutre. Chi diventa eucaristia è reso degno di donarsi come Cristo si è donato: questa è la comunione con Dio ma, allo stesso tempo, questa è la vita eterna. Perché chi diventa eucaristia, pane spezzato per il mondo che nulla trattiene per sé, mostra al mondo l’eternità.