“La fede di fronte ai giorni della fine”
(Commento al Vangelo di don Gianni Boezzi)
La piccola apocalisse (Lc 17,20-18,8) riguardava il destino personale, la «mia» storia, che si conclude con la morte. Questa grande apocalisse (Lc 21,5-36) riguarda il destino cosmico, la «nostra» storia, che si concluderà con la fine del mondo. Apocalisse non significa «disastro», ma «rivelazione» di una cosa ignota. Queste parole di Gesù rivelano non qualcosa di strano e occulto, ma il senso profondo della nostra realtà presente: ci tolgono il velo che le nostre paure e i nostri errori ci hanno messo dinanzi agli occhi, e ci permettono di vedere quella verità che è la parola definitiva di Dio sul mondo. Il linguaggio apocalittico è colorito, a tinte forti e paradossali. Ma la verità non è forse paradossale, al di là di ogni opinione? L’intendo primo degli evangelisti è mostrare che non si sta andando verso «la fine», ma verso «il fine». Il dissolversi del mondo vecchio è insieme il nascere di quello nuovo.
Gesù vuole togliere quelle ansie e allarmismi sulla fine del mondo, che prosperano ovunque e non fanno che danno.
Per comodità dividiamo questo discorso in tre parti. La prima (vv. 5-24) contiene quelle parole del Signore che ai tempi di Luca già si sono avverate. La situazione della sua Chiesa è in questo identica alla nostra. L’intento dell’evangelista è quello di insegnare a leggere la storia alla luce del mistero di morte e risurrezione di Gesù. La seconda (vv. 25-27) parla di ciò che il cristiano attende: la venuta del Figlio dell’uomo e la sua liberazione, fine di tutta la storia. La terza (vv.28-36), contiene le disposizioni con cui vivere l’attesa presente.
Questa prima parte inizia chiedendo «quando e quali sono i segni» della distruzione del tempio, che i discepoli intendono come la fine del mondo. In realtà non si tratta della fine del mondo; è un avvenimento storico esemplare, figura di ogni momento di crisi, che costituisce una sfida per il credente, chiamato a testimoniare il suo Signore. Bando alle false attese di una fine imminente: i pretesi segni della fine sono tutte cose che avvengono «prima», sono cioè gli ingredienti normali della nostra esistenza prima della fine.
Il vero indizio che il Regno è vicino e che la vicenda umana va verso il suo compimento è invece la «testimonianza» dei discepoli, che seguono e annunciano il loro Signore in questo mondo di male, facendone il luogo della salvezza.
Il Regno qui in terra sarà sempre come un seme: fruttifica perché piccolo, preso, gettato e nascosto. Porterà sempre i tratti del volto del Figlio dell’uomo, consegnato per noi alla morte di croce. Ma non bisogna scoraggiarsi: questa è la sua vittoria! Il disegno di salvezza si realizza proprio attraverso la croce: «è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22).
Questo discorso di Gesù precede immediatamente la sua morte e risurrezione. Lì infatti si realizzano tutte queste parole. Ma il mistero del Figlio dell’uomo è lo stesso di ogni uomo: ciò che capita al maestro, toccherà anche al discepolo.
Ai primi cristiani che chiedevano con ansia «quando verrà il Regno», Marco risponde «come» attenderlo. A quelli della generazione successiva che, come noi, rischiavano di non attenderlo più, Luca spiega che senso ha attenderlo ancora: l’attesa incammina la nostra storia presente verso la sua vera speranza, che non può deludere.