La croce, onnipotenza della tenerezza
In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Carissimi, l’annuncio di Gesù non avviene solo con la Parola, ma con la sua stessa vita.
Coloro che si separano – come del resto ognuno di noi – sono chiamati a maturare una consapevolezza “d’Amore”, con la A maiuscola, sentendosi nel cuore di Dio-Trinità, amati da lui e portati come su ali di aquila. Non sono dei segnati a vita, ma dei figli, dei fratelli e delle sorelle infinitamente amati dall’Altissimo. Mettendosi ai piedi della croce di Gesù, sono chiamati al perdono, volgendosi al Padre con lo stesso atto di abbandono: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).
Non è un eccesso dire che la tenerezza di Gesù rivela quanto di più umano esista in Dio e quanto di più divino esista nell’uomo. I miracoli e i gesti della sua vita sono la visibilizzazione della tenerezza salvante del Dio-Amore. Ogni categoria di «ultimi» è oggetto di una tenerezza senza limiti da parte del Maestro, con la disponibilità a essere loro vicino, in una dimensione di predilezione e di perdono, di invito alla conversione e di offerta della salvezza. La sua è una tenerezza di com-passione, di partecipazione profonda, empatica, al vissuto dei suoi interlocutori. Non è mai un agire freddo e distaccato. La com-passione è il sentimento che Gesù prova:
- di fronte ai due ciechi di Gerico: «Gesù ebbe compassione» (Mt 20,34);
- dinanzi alla supplica di un lebbroso: «Ne ebbe compassione, tese la mano» (Mc 1,41);
- alle lacrime della vedova di Nain: «Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: “Non piangere!”» (Lc 7,13);
- al cospetto delle folle che lo seguono: «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36);
- in occasione della prima e della seconda moltiplicazione dei pani: «Sentì compassione per loro» (Mt 14,14); «Sento compassione per la folla» (Mt 15,32).
L’apice della rivelazione della tenerezza di Dio nel suo Figlio Gesù è la morte in croce: lì si disvela in pienezza il mistero della compassione amante di Dio e ci viene aperto uno spiraglio sulla eterna tenerezza trinitaria. Attuazione della tenerezza donante del Padre, la croce manifesta la tenerezza accogliente del Figlio e dispiega la tenerezza condividente dello Spirito sulla Chiesa. «La tenerezza è il cuore di Dio-Amore, Dio-Trinità eterno Amante/Amato/Amore: un unico Dio che vive in se stesso un’eterna comunione interpersonale di Amore» (Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI, Roma, 25 dicembre 2005).
La tenerezza del crocifisso rappresenta il principio dell’effusione dello Spirito messianico che inaugurerà il passaggio, preannunciato da Geremia ed Ezechiele, da un «cuore di pietra» a un «cuore di carne»: un cuore circonciso, nuovo, dono e frutto della nuova alleanza nello Spirito.
Il vangelo è, dall’inizio alla fine, il proclama di questo evento; la norma di vita di Cristo è la norma di vita dell’amore «Misericordia io voglio, non sacrificio», al punto che solo chi sa amare con gesti di tenerezza concreta dimostra di aver realmente compreso il suo insegnamento e sarà riconosciuto come suo discepolo nel giudizio finale (Mt 25,31-46).
Gesù-Medico dona loro il suo Spirito perché siano in grado di trovare una tale forza, facendoli risorgere a vita nuova, in una scelta di tenerezza da attuare e ricercare ogni giorno, con coraggio e perseveranza.