“La compassione di Gesù, sguardo d’amore”
(Commento al Vangelo di don Simone Calabria)
Geremia sente ormai vicina la caduta di Gerusalemme (586 a.C.) e la deportazione del popolo (da parte dell’esercito del re di Babilonia Nabucodonosor tra il 586 e il 538 a.C.). Le autorità della città (cioè i “pastori che fanno perire e disperdere il gregge”) non si preoccupano della dispersione del popolo e cercano di trovare protezione negli Egiziani nemici dei Babilonesi. Ma Geremia li avverte che ciò sarebbe tradire l’alleanza con il Signore. Di fronte a questa situazione Geremia promette che Dio stesso si prenderà cura del suo popolo e lo farà ritornare dall’esilio.
S. Paolo ci invita a entrare ogni giorno di più nella conoscenza di Gesù, entrare nella sua familiarità e nella sua amicizia. Questo ci porta ad essere maturi e a correggere la nostra indifferenza nei riguardi della fede.
Domenica scorsa il Vangelo ci ha mostrato Gesù che invia i dodici apostoli, due a due, per annunciare la Parola di Dio, per guarire i malati e aiutare i deboli e i poveri.
Oggi ci narra il ritorno dei discepoli dalla loro missione. L’Evangelista Marco fa notare la soddisfazione dei discepoli e dello stesso Gesù, il quale pur conoscendo la loro scarsa preparazione gli aveva ugualmente affidato tale compito; era, del resto, sufficiente che obbedissero a quello che aveva loro ordinato. L’obbedienza aveva dato i suoi frutti. E possiamo immaginare lo sguardo affettuoso di Gesù mentre essi raccontavano quello che avevano operato. Erano felici; e anche un poco stanchi, come accade ad ogni vero “missionario” che dimentica se stesso per servire il Vangelo.
“Sceso dalla barca, Egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro”.
Gesù “vide”: lo sguardo di Gesù va a cogliere la stanchezza, gli smarrimenti, la fatica di vivere, il bisogno di quella folla. E si commuove. Perché per Lui guardare e amare sono la stessa cosa.
Quando anche noi impariamo la compassione, quando ritroviamo la capacità di commuoverci, la vita cambia.
Gesù aveva mostrato una tenerezza come di una madre anche nei confronti dei suoi discepoli: “Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare”.
Al termine dei racconti Gesù dice loro: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’ ”.
È un invito che risuona vicina a questo tempo di vacanza, di riposo o, forse ancor più, alla necessità di un silenzio per un serio ritorno alla vita interiore.
Oggi le parole «riposo» e «vacanza» non solo indicano un uscire da abitudini e circostanze solite, ma anche la ricerca ostinata di un divertimento ad ogni costo. Uscire fuori di sé, da un orizzonte senza senso fino a non pensare più, raggiungere uno stato di ebbrezza.
“L’uomo crede di rompere il destino con l’ebbrezza” (Cesare Pavese). L’uomo crede di dar respiro, bellezza e intensità alla vita con l’ebbrezza.
Ma il destino è dentro di ognuno di noi, è cosa nostra, al di là di ogni ebbrezza; è dentro il nostro cuore.
Perciò non c’è riposo, se non quando il cuore trova ciò che pienamente gli corrisponde. Fino ad allora si è vagabondi, inquieti, «come pecore senza pastore».
“Venite in un luogo deserto”, dove sia più facile riconoscere e aderire a Cristo: trovare uno spazio di tempo nella giornata, un ambito di rapporti, una compagnia di amici, che facilitino il fare memoria di quello che ci accade con uno sguardo di commozione e tenerezza. Amen.