La commovente testimonianza di Gianluca: “La vita è una cosa meravigliosa, nella gioia e nel dolore.”
Cinque anni fa ho dormito per quasi due settimane in questa chiesa, trascorrendo i primi giorni del 2017 sulle panche di legno, come un senzatetto. Lo ricordo come uno dei periodi di maggiore sofferenza della mia vita, insieme agli ultimi giorni passati in ospedale con mio padre nell’aprile del 2011. Il 2 gennaio, con un mese di anticipo rispetto alle scadenza naturale della gravidanza, era venuta alla luce la mia primogenita. Alla gioia della sua nascita seguì in un battito di ciglia l’incubo della TIN, la terapia intensiva neonatale.
Francesca manifestò a poche ore dalla nascita un distress respiratorio, che poi avremmo scoperto essere riconducibile a un’infezione batterica acquista nel corso del parto cesareo. Ricordo ancora gli occhi di ghiaccio della dottoressa che mi informava sulle condizioni di mia figlia e sulla probabilità che non sarebbe sopravvissuta alla notte. Firmai senza leggere i carteggi per autorizzare le procedure invasive da adottare e poco dopo ero bardato con tuta, mascherina, cuffia e guanti, con le braccia infilate nei fori di accesso dell’incubatrice. Sfioravo con mano tremolante il corpicino di Francesca, immobilizzata, in coma farmacologico e con un tubo che assisteva la respirazione dei suoi minuscoli polmoni, ancora immaturi. Ricordo il suo torace che si gonfiava e sgonfiava con un ritmo innaturale, che dava una percezione visibilmente apprezzabile della fame d’aria di cui stava soffrendo.
Le visite erano consentite per una sola ora al giorno e potevo entrare solo io, perché Evelina nel frattempo era ricoverata con febbre, per i postumi del cesareo (avremmo scoperto solo dopo che avevano combinato un pasticcio anche a lei). Passavo le ore in cui non ero in visita da Evelina o in TIN nella cappella dell’ospedale a pregare. Scrissi una lunga preghiera sul volume poggiato sul leggio ai piedi dell’altare, chiedendo al Signore di concedermi questa grazia in cambio di qualunque cosa.Pregavo ogni minuto, di ogni ora, di ogni giorno. Pregavo e correvo su nelle ore di visita per raccogliere il latte che Evelina si tirava ogni due ore. La rassicuravo sulle condizioni di Francesca e riportavo sempre notizie edulcorate o stravolte rispetto a quelle che ricevevo, per lenire le sofferenze di mia moglie. Quando portavo i contenitori con il colostro e il latte nel frigo condiviso di neonatologia chiedevo sempre di essere ricevuto dal medico di turno per avere aggiornamenti, ma le cose nei primi giorni andavano peggiorando e gli occhi di quelle dottoresse parlavano da soli.
La prima settimana fu durissima, ma il giorno del mio compleanno, l’8 gennaio 2017, Francesca era finalmente estubata, e tre giorni dopo avremmo potuto vedere per la prima volta i suoi occhietti aperti. Ricordo con vividezza e nel dettaglio la procedura di vestizione e gli sguardi silenziosi di compassione ed empatia scambiati con gli altri genitori, perfetti sconosciuti che condividevano attimi di intimità dei momenti più dolorosi della propria esistenza. Quando si otteneva l’autorizzazione all’ingresso era previsto il passaggio da due stanze non comunicanti, in cui ci si doveva spogliare, lavare, indossare i dispositivi di protezione individuale e si passava nell’anticamera della TIN per lavare una seconda volta le mani, con i detergenti alcolici e seguendo una rigorosa procedura igienica. Dopo alcuni giorni sulle nocche mi comparvero delle piaghe, perché la pelle si era consumata a causa dei ripetuti lavaggi e si era spaccata per l’esposizione al freddo (in quei giorni nevicava). I calli ruvidi e screpolati sulle nocche oggi sono un promemoria.
Mi ricordano quanta sofferenza ci è costata la gioia della nascita del nostro primo amore. La vita è una cosa meravigliosa, nella gioia e nel dolore. Grazie al lavoro incredibile dei medici della TIN di Pescara e grazie a Dio Francesca è uscita viva e sana da quell’esperienza e posso testimoniare la mia felicità. La fede mi ha aiutato ad affrontare quei momenti e oggi posso dire di aver ricevuto per il mio trentacinquesimo compleanno un miracolo. Quel miracolo si chiama Francesca e tra un’ora compirà cinque anni. Grazie, vita!