Il Vangelo è maestro di umanità, convoca la nostra coscienza
(Commento al Vangelo di don Simone Calabria)
Il Vangelo di oggi è uno dei Vangeli impossibili: se ognuno che dà del matto o dello stupido a un fratello in un impeto d’ira, fosse trascinato in tribunale o finisse all’inferno, non avremmo più un uomo a piede libero sulla terra e, nei cieli, Dio tutto solo ad addolorarsi nel suo paradiso vuoto. Gesù stesso sembra contraddirsi: afferma l’inviolabilità della legge fin nei minimi dettagli e trasgredisce la norma più grande, il riposo del sabato. Ma ogni Sua parola converge verso un obiettivo: far emergere l’anima segreta, andare al “cuore” della norma.
Il Vangelo non è un manuale di istruzioni, con tutte le regole già pronte per l’uso, già definite e da applicare. Il Vangelo è maestro di umanità, non ci permette di non pensare con la nostra testa, convoca la nostra coscienza e la responsabilità del nostro agire, da non delegare a nessuno.
Allora cerchiamo di leggere più a fondo e vediamo che Gesù porta a compimento la legge.
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento». Gesù non vuole cancellare i comandamenti che il Signore ha dato a Mosè, ma vuole portarli a compimento. «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli». Ma che cosa significa questo «pieno compimento» della Legge? E questa giustizia superiore in che cosa consiste?
Cristo ci mette in guardia da un pericolo: che ci basti la giustizia degli scribi e dei farisei! In cosa consiste questa «giustizia»? In un’apparenza senza contenuto; in una forma apparentemente bella, ma dentro cattiva; in un’ipocrisia, un rispetto esteriore privo di amore e di verità.
La giustizia quando è nostra, è sempre un’ingiustizia, una violenza fatta agli altri o a noi stessi.
“Senza misericordia non c’è giustizia”. Se la misura dei nostri pensieri e dell’agire non è l’amore a Dio, noi combiniamo solo guai. Per questo il sentimento più profondo nel nostro animo è il timore, la paura, l’incertezza.
Per noi stessi non possiamo fare nulla, non abbiamo la certezza delle cose che facciamo ogni giorno: neanche il momento che stiamo vivendo ora ci appartiene!
Il nostro futuro, come anche il presente, è un grande punto di domanda: «Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere». Allora cos’è mai la nostra giustizia?
Gesù stesso ci risponde con alcuni esempi. Inizia dal quinto comandamento del decalogo: «Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; … Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio» (vv. 21-22). Con questo, Gesù ci ricorda che anche le parole possono uccidere! Non bisogna calunniare, dire male alle persone. Ma tutto questo alla fine, ci riempie il cuore di amarezza, e avvelena anche noi. Allora, cerchiamo di evitare le chiacchiere, per raggiungere, così, la perfezione dell’amore.
Il nostro rapporto con Dio non può essere sincero se non vogliamo fare pace con l’altro. E dice così: «Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello».
Perciò siamo chiamati a riconciliarci con i nostri fratelli e con Dio partendo da quì, dal riconoscerci che siamo nulla davanti a Lui: «Signore, sono nulla…Ti prego aiutami!».
Qualunque amicizia, amore, rapporto umano, se non parte da qui può essere solo una falsa convivenza, dove si deve fingere, nascondere le proprie colpe per poter stare insieme.
«Signore, pietà!»: io mi abbandono a Te che mi fai, a Te, Padre che continuamente mi crei, attimo per attimo. «In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo». L’umiltà è la verità. Dall’abbandono nasce una nuova sapienza. Tutto è grazia: non esiste più la paura, ma la pace, che non è non fare la guerra, ma stare attenti a quello che accade ogni giorno alla nostra vita. Amen!