Il Signore ascolta il grido del povero
(Commento al Vangelo di don Giovanni Boezzi)
Sarebbe bello riscrivere il brano del Vangelo di oggi affidando la narrazione a Bartimeo, il cieco. Non è solo un espediente letterario, ma un entrare nella vita e leggere con altra prospettiva la chiamata e l’incontro con Gesù. Che ci direbbe Bartimeo?
Anzitutto ci racconterebbe i suoi guai: era cieco, era emarginato, era mendicante. Che gli resta? Nulla. Non ha dignità da salvaguardare, rispettabilità da pretendere, un nome da difendere. È talmente povero che gli rimane una sola cosa da fare: gridare a Dio. Perché così gli avevano insegnato a fare i rabbini fin da piccolo: «Il povero grida e il Signore lo ascolta». E riconoscendo in quel Gesù che sta passando il «Figlio di Davide» grida verso di lui il suo desiderio di salvezza e di misericordia.
Il suo cammino di fede è nella fase propedeutica: una fede incerta, debole. Sa solo gridare e grida anche quando gli viene imposto di non farlo: è tenace, insistente, quasi fastidioso. Ma il Signore ascolta il grido del povero: «Chiamatelo!». Nella dinamica della fede tutto parte da questa chiamata che coinvolge anche la comunità: «Alzati, ti chiama!». C’è spazio anche per la conversione della comunità.
Cosa ci direbbe Bartimeo di quel momento? «Che faccio?», si sarà chiesto. Non sembra avere dubbi: ha solo un mantello e lo butta via, rinuncia a quell’unica sicurezza. Quella chiamata gli dona la forza per alzarsi e per mettersi di fronte a Gesù. In piedi. E iniziano a parlare: ancora una volta Gesù sceglie la via del dialogo, come spesso l’abbiamo visto fare nel Vangelo. Sembra un dialogo assurdo: la domanda di Gesù può sembrare superflua o retorica. Possibile che Gesù non abbia capito cosa vuole Bartimeo? O Gesù vuole solo metterlo in condizione di capire che il Maestro è lì, «per te»?
Il cieco ancora una volta trova le parole giuste e chiede al Maestro con estrema chiarezza: «Che io veda di nuovo». I suoi occhi offuscati (e la sua fede appannata) chiedono di essere liberati, perché il cammino di fede è chiamata, ma è anche liberazione. Com’è essenziale questo dialogo, com’è povero di coreografia questo miracolo…Gesù lo guarisce dalla cecità degli occhi e lo apre al dono della vocazione e della sequela: «Và, la tua fede ti ha salvato».
Cosa ci racconterebbe Bartimeo di quell’incontro? Certamente continuerebbe a gridare. Ma di gioia, stavolta. Ci direbbe che in Gesù ha visto attualizzata la profezia di Geremia (prima lettura); che Gesù è venuto a parlarci di quel Dio che libera e salva tutti anche coloro che si attardano sulla via, «il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente»; di quel Dio che è un «padre per Israele».
Griderebbe di gioia Bartimeo, anzi canterebbe danzando il salmo responsoriale, riempiendo la sua bocca di sorriso e la sua lingua di gioia, riconoscendosi in chi, fidandosi di Dio, ha seminato nelle lacrime ma ha raccolto nella gioia.
Ci direbbe che il cammino di fede è un viaggio dalla cecità alla luce, dai margini del marciapiede al centro della via, dalla notizia su Gesù all’incontro con Gesù, alla sua visione, alla sua sequela.
Grazie, Bartimeo, capostipite di tutti noi ciechi, a volte incapaci di gridare. Aiutaci a farlo e incontreremo il Maestro che ci salva. Forse qualche volta conviene guardare la storia con gli occhi dei poveri (come diceva spesso il Venerabile don Tonino Bello): ci accorgeremmo di guardarla dalla parte di Dio.