Il perdono: unica via di liberazione
In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
In tutte le situazioni è forte, nel coniuge separato, la rabbia, l’ansia, la tristezza. Specialmente il coniuge che si ritiene vittima di un sopruso a opera dell’altro, avverte un rancore che può trasformarsi persino in odio, con un forte bisogno di rivalsa, se non di vendetta. Uno stato d’animo di violenza che lo fa star male e lo rende agitato, in cerca di una via d’uscita che lenisca il dolore e attenui l’amarezza. Il problema più difficile è proprio questo: come superare lo stato d’animo di violenza che il separato vive in sé, avvertito come malessere nel corpo, nella testa, nello stomaco o espresso con forme di chiusura, e irrigidimenti, oppure all’opposto con reazioni incontrollate e smodate. Come venir fuori da uno stato d’animo di violenza che sembra insopportabile? Roberta (nome inventato) ci dice: «A volte, nel vedere il coniuge apparentemente sereno, incurante del dolore che ti sta procurando, ci si sente vittime di una profonda ingiustizia e ci si chiede: Dio dov’è? Perché permette tutto questo nella mia vita?». La reazione più diretta a questo stato d’animo è quella della non-disponibilità al perdono. Vendetta, rimozione, evasioni, masochismo sono tutte strade insufficienti; possono dare l’illusione, in un primo momento, di orientare a star meglio; in realtà, attraverso questi percorsi, il rancore/odio non viene affatto estirpato; esso rimane vivo nell’inconscio come un fuoco sotto la cenere, pronto a esplodere in ogni momento e in mille altre forme.
Il perdono è l’unica via di liberazione da questo vicolo cieco. La parola per-dono appartiene alla categoria del «dono», la preposizione «per» suppone in latino l’idea di un “compimento”, di una “pienezza”; e di fatto, il per-dono è un «dono completo», un dono totale, un dono fatto a sé stessi, prima ancora che all’altro. Il perdono, non è solo il dono più alto che offriamo a chi ci ha offeso, ma è anche il dono più alto che regaliamo a noi stessi, la via più vera per ritrovare la serenità e non compromettere la pace dell’anima e la stessa salute mentale-fisica.
Il perdono è pace dell’anima. Il verbo «perdonare» richiama il concetto biblico di «pace». La «pace», nella Scrittura, corrisponde a un vivere in comunione, in armonia personale-relazionale con sé stessi, con gli altri, con il creato, con Dio. Tale è la pace messianica che Cristo annuncia durante la sua vita e promette ai suoi prima di tornare al Padre. I coniugi separati, come gli sposi, non sono forse chiamati a vivere sotto il segno di questa pace? Il perdono li situa in tale ambito e li aiuta a «star bene» in senso pieno e integrale.
Il perdono è sublimazione oblativa. Significa «Offrire» cioè situarsi in una prospettiva di «dono», di «dono completo», di «per-dono», appunto: una prospettiva che aiuti non tanto a sottacere ciò che si è vissuto, quasi non fosse mai successo, ma a situarlo su un altro piano, in una sorta di «passaggio emozionale» che consenta di passare dai sentimenti negativi della rabbia, dell’ansia e della tristezza, dominanti nella fase della separazione, all’opzione decisiva e positiva della «non-violenza», di un amore in grado di vincere il male con il bene, esorta San Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21).
Vorrei concludere con un brevissimo pensiero di Dostoevskij tratto da “I fratelli Karamazov”: «Alcuni pensieri, specialmente alla vista del peccato umano, ti rendono perplesso, e ti domandi: “Devo ricorrere alla forza o all’umile amore?”. Decidi sempre: ricorrerò all’umile amore. Se prenderai una volta per tutte questa decisione, potrai soggiogare il mondo intero. L’amore umile infatti è una forza formidabile, la più grade di tutte, come non ce né un’altra».