“Il paese dei non più e dei non ancora”
Rubrica per la famiglia a cura della dott.ssa De Leonardis Ivana
I preadolescenti e adolescenti abitano nel paese dei “Non Più e dei Non Ancora”.
Vi si ritrovano un po’ per cittadinanza naturale, perché è la vita stessa che a un certo punto chiede loro di abitare lì per alcuni anni e un po’ perché gli stessi genitori sono chiamati a conferire ai figli questo passaporto.
I cuccioli vissuti all’ombra del nido genitoriale più o meno fino agli 11-12 anni, a un certo punto si trasferiscono in questo nuovo Paese in cui vigono leggi strane, che spesso diventano motivo di scontro tra genitori e figli.
Nel Paese del “Non Più e del Non Ancora”, infatti, se un figlio 16enne fa fatica a svegliarsi la mattina da solo, i genitori gli dicono: “Non sei più un bambino! Possibile che non sai sbrigartela da solo?”. Ma se invece lo stesso figlio 16enne vuole organizzare un fine settimana da solo con i suoi amici in una casa in campagna, i genitori gli dicono: “Non sei ancora abbastanza grande per fare questo!”. E su questo continuo altalenarsi di “Non più” e di “Non ancora”, si giocano lunghi ed estenuanti bracci di ferro tra genitori e figli, spesso centrati sulla frase che suona alle orecchie dei genitori come un ricatto emotivo: “Non ti fidi di me?”.
La realtà è proprio questa: gli adolescenti non sono più bambini ma non sono ancora adulti e il Paese dei “Non più e dei Non Ancora” è una terra di passaggio, fatta di conquiste di autonomie e libertà, quelle che porteranno il ragazzo ad abitare il mondo degli adulti.
Uno dei compiti principali che il ragazzo deve compiere nel passaggio dall’infanzia all’età adulta è la definizione della sua identità, cioè la costruzione di un suo personalissimo modo di stare al mondo, con le proprie idee, passioni, interessi, abilità e un proprio progetto di vita.
Per fare questo ha bisogno di sganciarsi dalle figure genitoriali, sia in senso fisico che in senso figurato, pur portando sempre con sé tutto il patrimonio di esperienze, valori, insegnamenti, che i suoi genitori gli hanno fornito. A volte questo sgancio avviene in maniera dolce, ma spesso avviene attraverso vere e proprie rotture, come quando il pulcino, per uscire dal guscio in cui si è formato, è costretto a romperlo.
Si tratta di un passaggio assolutamente fisiologico. Non solo accomuna gli adolescenti di tutte le generazioni, passate presenti e future, ma è anche necessario, doveroso! Se il ragazzo non lo compisse, non potrebbe definirsi come persona autonoma. Deve cercare se stesso, farsi spazio, anche a costo di mettere in discussione tutto ciò che lo ha preceduto. Che, attenzione, non viene perduto! Viene semplicemente verificato, setacciato, passato al vaglio perché il ragazzo trattenga quello che sente buono per sé e metta, anche solo momentaneamente da parte, ciò che non gli corrisponde.
La ricerca dei propri spazi di vita è il tema del famosissimo film di animazione della Pixar “Alla ricerca di Nemo” in cui il pesciolino Nemo sfida le regole del padre per andare ad esplorare il mondo oltre i limiti della barriera corallina (protettiva) che il padre voleva imporgli per evitargli dei pericoli.
E qui arriva il dramma dei genitori. Fino a che punto lasciare che un figlio si sperimenti? Qual è il limite oltre il quale non posso concedergli alcune libertà?
Queste domande accompagnano da sempre tutti i genitori di figli adolescenti. A queste domande si aggiungono alcune percezioni che sono invece più tipiche dei genitori di oggi rispetto a quelli del passato.
La prima è che le richieste di libertà dei figli si siano notevolmente anticipate. La seconda è che i pericoli del mondo esterno siano maggiori di un tempo.
Sono entrambe percezioni corrette, legate ai grandi e veloci cambiamenti della nostra società e hanno un elemento in comune: la parola confini.
Sul primo punto, c’è da osservare che l’anticipazione delle esperienze oggi comincia ben prima dell’età dell’adolescenza. Ha inizio già dall’infanzia. Oggi ai bambini viene richiesto che facciano cose che un tempo erano riservate a quando erano più grandicelli: devono imparare le lingue, praticare almeno uno sport, impegnarsi in diversi hobby, frequentare luoghi aggregativi e così via. Già dalla Scuola dell’Infanzia possono anche partecipare a Progetti Erasmus dedicati a loro. Il confine tra il “sei grande o sei piccolo” è diventato molto più sottile.
Sul secondo aspetto, c’è da considerare che oggi viviamo in un contesto globalizzato e virtuale e le pareti di casa nostra somigliano più a delle grandi finestre in cui il mondo esterno, attraverso la Rete, entra quando vuole. Anzi, vive in casa con noi.
Per un ragazzo questo vuol dire che i suoi punti di riferimento, i modelli a cui ispirarsi, le idee con cui confrontarsi, oggi non sono più solo i suoi genitori e il contesto del suo quotidiano, ma chiunque possa incontrare sulla Rete.
In quella che il sociologo Bauman chiama da anni “società liquida”, cioè con pochi ancoraggi solidi, è più facile perdersi, perché il mare aperto in cui il ragazzo prova a nuotare (parafrasando la storia del pesciolino Nemo) ha le dimensioni di un Oceano, a volte impetuoso.
Compito dei genitori rimane innanzitutto quello di non perdersi loro stessi in questo Oceano in preda alle ansie e alle paure. Spesso capita che i genitori temano i contrasti con i figli perché sono faticosi da gestire e allora succede che adottino due strategie contrapposte: o assecondarli incondizionatamente o irrigidirsi impietosamente. L’abilità che viene richiesta ai genitori in questa fase è invece quella di essere dighe, che si aprono e si chiudono a seconda delle occasioni che un figlio deve affrontare. Sono necessarie solidità e flessibilità insieme, che sono le doti principali di un adulto. Per non andare in tilt, è utilissimo poi comprendere come funziona la mente di un adolescente e come mai certi suoi atteggiamenti sono capaci di mandarci fuori dai gangheri o al contrario di stupirci positivamente. Ma di questo, parleremo nel prossimo articolo.
dott.ssa Ivana de Leonardis – Consulente Familiare®