Grazie a Vladimir: “Mi immergo nei suoi occhi e lei nei miei. …”
(Don Gilberto Ruzzi)
NATO DA DONNA – La Madre di Dio di Vladimir
«Un volto pensoso, come il mormorio del vento autunnale… Un tempo il mio sguardo frettoloso aveva ammirato la maestria della sua icona. In questi primi giorni di libero accesso alla Madre di Dio il suo sguardo dolente ha toccato il mio cuore… La tristezza dei suoi occhi stellati mi si è impressa nel cuore...».
Parole, queste, da qualcuno attribuite al filosofo, matematico e presbitero russo Pavel Florenskij e che si riferiscono all’icona della Madre di Dio di Vladimir.
Vladimir è una graziosa località che fa parte di quel gruppo di città storiche che compongono il cosiddetto “anello d’oro”, intorno a Mosca e che a dispetto della capitale russa hanno conservato molto dell’assetto antico. Tutte, compresa Vladimir, conservano un Cremlino e delle antiche chiese, purtroppo per la maggior parte spoglie perché le icone un tempo ospitate al loro interno sono nei più importanti Musei della nazione
Anni fa è stato scritto: «Dalle sante icone qualcuno ci guarda!».
In tale prospettiva “rovesciata” possiamo leggere questa tavola dinanzi alla quale è passata gran parte della storia russa, storia e vicende che hanno lasciato impresse su di essa le loro tracce, sin da quando, intorno al 1130 giunse a Kiev da Costantinopoli dove era stata “scritta” da un ignoto iconografo dell’epoca comnena.
Gli spostamenti che la preziosa icona subì testimoniano la presa che ebbe sulla religiosità della Rus dal XII secolo in avanti: dal monastero delle principesse di Vysgorod, nel 1155 fu traslata nella cattedrale della Dormizione di Vladimir – da qui il nome con cui è conosciuta – e vi resterà fino al 26 agosto 1395 quando, per l’avvicinarsi delle orde tartare di Tamerlano, fu portata a Mosca nella cattedrale della Dormizione, all’interno delle mura del Cremlino e lì rimarrà fino al 1918, all’indomani della rivoluzione bolscevica, sentita come patrimonio storico dello stato russo, restaurata e destinata ad un museo.
Ad oggi, pur facendo parte della prestigiosa collezione di icone della Galleria Tret’jakov, è esposta nell’attigua chiesa moscovita di San Nicola, offerta allo sguardo di visitatori e pellegrini, capace ancora di guardare chi sosta dinanzi a Lei con i suoi occhi penetranti e mestamente dolci.
Riconducibile al tipo iconografico dell’Eleousa, la Misericordiosa – il titolo della “tenerezza” non traduce esattamente il concetto greco – tiene sul braccio destro il Figlio, dalle tipiche caratteristiche del “piccolo adulto”, poiché è sì un bambino, ma è l’Emmanuele, il Dio con noi; con la sinistra ce lo indica: dunque la Madre di Dio di Vladimir somma due modelli iconografici mariani: l’eleousa e l’odighitria, colei che indica la via. E il secondo è fondamentale per leggere il primo e per non far dire all’immagine scritta ciò che non dice.
Nonostante le numerose e pesanti ridipinture, i restauri ultimi hanno messo in luce lo strato originale superstite costituito in somma parte dai due volti: fissandoli, così accostati, con le ombre che generano – novità assoluta per la tradizione bizantina dell’epoca – vediamo la misericordia-compassione di un Dio che stringe a sé l’umanità rappresentata dalla Madre, la quale, però, non ricambia lo sguardo del Figlio, ma guarda noi indicandolo.
Destinata alle processioni, non solo a presiedere le grandi liturgie dello stato moscovita prima e dell’impero zarista poi, sul retro, nel XV secolo, fu dipinta l’etimasia, il trono-altare pronto per il ritorno del Signore nella gloria, adorno dei trofei della sua passione.
Allora l’icona della Madre di Dio di Vladimir, la più riprodotta e conosciuta delle icone mariane, dentro e fuori i confini russi, ci parla sì della divina maternità di Maria, ma ci ricorda che il suo dono materno è in vista della nostra salvezza realizzata nella passione d’amore con cui il Cristo ha abbracciato questa umanità unendola a sé: «Forte come la morte è l’amore, una fiamma divina!»
Torno alla citazione dalla quale sono partito, completandola: «Mi immergo nei suoi occhi, e lei nei miei. E sembra che, all’infuori di noi due soli, non esista nessuno. E’ lo sguardo eterno che scruta i cieli e gli abissi. Mi guarda colei che ha riunito cielo e terra… A questi occhi materni è dato in sorte di piangere per noi fino all’ultimo giorno».