Gesù è re perché nessuno ha servito come lui
(Commento al Vangelo di don Andrea Manzone)
La festa di Cristo Re dell’Universo nasce in un tempo in cui troppi re e governanti sognavano di avere un controllo totale sulla propria nazione, sui propri sudditi o addirittura sull’umanità intera. La Chiesa e i cristiani hanno ben pensato di ricordare loro (e a tutti noi) che di re ce n’è uno solo, che è Cristo Signore.
Noi non abbiamo esperienza di re, ne conosciamo solo alcuni, più famosi, e ci fanno quasi sorridere: nessun vero potere se non quello di riempire le pagine dei tabloid. I nostri nonni o genitori ricorderanno l’ultimo Re d’Italia fuggire dalla sua patria per mettersi in salvo… insomma, nessun passato glorioso per la regalità. Per cui ci rifugiamo nei racconti, nelle favole, in cui re e regine comandano in modo leggiadro sui sudditi acclamanti.
Ecco, in questo mondo immaginifico e contraddittorio ascoltiamo le letture di oggi. Ricordiamo in primo luogo che l’esperienza regale che ci presenta la Scrittura è molto complessa: Israele vuole un re per essere come le altre nazioni, dimenticando così di avere un solo Re, il Dio unico liberatore. Si attende allora l’avvento di un re che porterà sulla terra il vero Regno di Dio, un regno che – come ci ricorda Daniele nella prima lettura «non finirà mai, […] non sarà mai distrutto».
Ma la figura del re è necessariamente collegata alla questione del potere: un re senza potere è una caricatura di se stesso. Proprio su questo il Vangelo che oggi ascoltiamo ci spiazza: Gesù si proclama Re eppure si trova legato di fronte ad un procuratore romano.
Possiamo ripensare a tutte quelle occasioni in cui Gesù ha fuggito le folle che lo volevano proclamare re, soprattutto dopo i suoi miracoli. Solo ora, legato e impotente, egli può liberamente proclamarsi re, svuotando e convertendo radicalmente questa categoria sociale.
Gesù è re non perché qualcuno lo ha designato tale, ma perché nessuno ha servito come lui, nessuno ha dato la vita come lui. Il potere non è più potere di oppressione ma potere, cioè capacità, di dare la propria vita.
Ciò sarebbe di grande consolazione per noi, se non fosse che la liturgia della parola di oggi ci offre una prospettiva ancora più sconvolgente. “Egli ha fatto di noi un regno”, ci dice l’apocalisse al suo esordio.
La regalità di cristo non è un suo possesso, ma è dono che egli condivide con noi. È bello richiamare alla memoria il momento in cui nel battesimo, al momento dell’Unzione crismale, il ministro dica che siamo diventati (di già!) sacerdoti, re e profeti.
Diventeremo e condivideremo anche noi la regalità di Cristo quando come lui useremo ogni nostro potere per il servizio. Solo così edificheremo il Regno di Dio e non il regno degli uomini.