Eremo Abbazia di Santo Spirito a Maiella
Dal sito http://www.comune.roccamorice.pe.it/
…sul monte Maiella dove (sempre alla ricerca di un luogo più solitario) trovò una grande spelonca che gli piacque assai […] e molti e strepitosi eventi qui accaddero, con i quali Iddio manifestò di aver scelto il posto in onore dello Spirito Santo (autobiografia di Frate Pietro del Morrone) così all’alba del 29 agosto del 1248 fu divinamente consacrato.
A circa nove chilometri dal centro abitato di Roccamorice ad un’altitudine di 1132 metri s.l.m. nella parte alta del vallone che prende dall’omonimo Eremo il nome di Santo Spirito, nel territorio che rientra tra i confini del Parco Nazionale della Majella, troviamo immerso nella lussureggiante faggeta che lo abbraccia e lo custodisce gelosamente, addossato alla nuda roccia, così da seguirne l’andamento a mo’ di tutt’uno con essa, lo splendido Eremo-Abbazia di Santo Spirito a Maiella.
Ciò che più colpisce appena vi si giunge, è la sua grandezza, la sua imponenza, la grande parete rocciosa che lo sovrasta, il tutt’uno della struttura con l’ambiente circostante. Forse parlando di eremi, ci si aspetterebbe di trovarne uno di estensione più ridotta. Certamente questo doveva essere la dimensione di prima degli ampliamenti e delle nuove costruzioni susseguitesi dopo l’arrivo sul posto di Pietro Angelerio, futuro Papa Celestino V nel 1244 provenendo dal vicino monte Morrone. Il luogo era già un sito di culto, come tanti altri individuati sulla Majella e sul Morrone. Gli insediamenti eremitici sulla Majella erano antecedenti l’anno mille, tanto che il monaco Desiderio, poi divenuto Papa nel 1086 con il nome di Vittore III, visse per diversi mesi con gli eremiti e in questo di Roccamorice nell’anno 1053.
Veniamo accolti da un grosso piazzale al cui ingresso è posto un obelisco in pietra dedicato alla Madonna, due fontane e i resti di un abbeveratoio, per poi svelarsi nella parte di fondo, la facciata in pietra della chiesa dell’Eremo di Santo Spirito. L’impronta architettonica della chiesa è da ricercarsi a dopo il 1586, quando la riedificò il Santucci, trovatala parzialmente crollata. Vi fa bella mostra il portale in pietra della maiella del tardo-cinquecento a lunetta ribassata al cui interno restano tracce di un affresco cinquecentesco raffigurante degli angeli, sulla cui architrave vi è incisa l’iscrizione PORTA CELI, con evidente errore di distrazione del latino al posto di Coeli, un’altra scritta dipinta si intravede lungo la corona della lunetta, questo fa’ da cornice allo splendido portone arabescato in legno di noce, restaurato nel 2006 e tornato al suo posto dopo esser stato trafugato, purtroppo spogliato dei due angeli.
Un’altra porta ad arco, sormontata da un piccolo bassorilievo, raffigurante lo stemma, “Croce con S” simbolo dell’opera e dell’ordine dei Celestini, ci introduce ad un lungo corridoio quasi interamente ricavato in roccia che costeggia la zona della chiesa, della sacrestia, della cucina, della zona a ruderi dell’antico convento e officine, della zona dei terranei così detta casa del principe, fino ad arrivare all’ingresso della prima parte della Scala Santa. Sempre nella facciata della chiesa vi è dipinto lo stemma dei Celestini su fondo azzurro.
L’interno della chiesa oggi si presenta a navata unica con la zona presbiteriale, dove troviamo lo splendido altare maggiore, leggermente rialzato, con copertura con volte a crociera costolonate, dove è posta una copia delle bellissima tela della Pentecoste del pittore Fabrizio Santafede (1605), (dipinto raffigurante l’ascesa dello Spirito Santo sugli Apostoli). Ai lati dell’altare maggiore si trovano le due portelle, una cupola e la restante copertura a botte coprono l’unica navata, tre altari sono posti sul lato destro e solo uno sul lato sinistro, due tele raffiguranti Sant’Elena del pittore Ferdinando Palmerio di Guardiagrele del 1895 e San Giuseppe del pittore Enrico Marchiani del 1893, resti degli affreschi tardo cinquecenteschi a motivi geometrici e il busto ligneo ottocentesco di San Pietro Celestino in abiti papali attribuita all’artigiano Giuseppe Di Bartolomeo di Roccamorice. Dietro l’altare maggiore si trova la zona denominata sagrestia dove sotto la pavimentazione è posta la teca in vetro che conserva le ossa ricomposte dell’Abate “Rifondatore” Pietro Santucci (n.1562 m.1641), primo Abate di Santo Spirito.
Nella sagrestia si trovano tre porte, la prima conduce tramite una piccola e ripida scalinata ad un piano rialzato denominato Clausura (iscrizione dipinta sull’architrave) dove si trovano due grosse sale e parte di un affresco che raffigura San Pietro Celestino in abiti papali, una seconda porta ci introduce in una piccola cucina dove si affianca una dispensa, una terza ci immette nel lungo corridoio ricavato in roccia già precedentemente citato (da notare in questa zona dove a terra troviamo l’impianto della raccolta delle acque, presente in tutto il complesso in svariate soluzioni). Incontriamo altre stanze, tutta la zona a ruderi, due stemmi seicenteschi a bassorilievo in pietra, uno con lo stemma dei celestini “Croce con S” con la data 1689, l’altro con tre spighe di grano nella parte centrale.
A seguire ne troviamo altri due posti uno di fronte all’altro con l’effige del Leone Rampante sormontato dalla tiara papale, simbolo che Celestino V scelse per il suo pontificato, il più piccolo è posto sull’architrave di una porta che ci immette nella zona dei terranei così detto appartamento del Principe di San Buono, Marino IV (n.1646-m.1694), oggi conosciuta come “casa del Principe”. Subito dopo, incontriamo il grosso fabbricato della foresteria, qui notiamo due ingressi, uno che ci introduce nel piano basso della stessa, e l’altro ad arco sormontato dallo stemma di Celestino “Croce con S”, questo è l’ingresso della Scala Santa. Ci accoglie una ripida scalinata interamente scolpita in un blocco di pietra, dove troviamo incise le “stazioni della via crucis”, saliti su ci si trova nella parte alta della foresteria, dove troviamo delle stanze più o meno grandi e una piccola cappella “invernale”, in questa zona troviamo una vasca per la raccolta delle acque e un mascherone seicentesco di una fontana.
Da qui, si può proseguire dritti su di un ballatoio in roccia dove è possibile arrivare nella zona delle campane, per poi salire sull’altro tratto della Scala Santa, fino ad arrivare su di un’area dove spicca la grande statua di Sant’Antonio Abate, la Crocedel Calvario e una porta dalla forma settecentesca che ci conduce in uno dei vecchi “verzieri”, sul fondo del tetto di roccia, una piccola e ripida scalinata ci conduce in un’altra chiesetta, l’eremo di Monte Calvario, ma dal 1850 chiamato “la Maddalena”. Saliti la ripida scalinata troviamo sull’architrave della porta una statua ad altorilievo della fine del cinquecento che sembrerebbe raffigurare la Maddalena, ci introduce alla chiesetta dove veniamo accolti da un colorato altare a mensa, chiamato Altare della Desolata, sormontato da un bellissimo affresco raffigurante la Deposizionedalla Croce o Pietà dalla firma di “Dom.cus Gizzonius. P.”, cioè Domenico Gizzonio, pittore di metà settecento, datato “A.D. 1737”.
Nell’affresco, predominano i colori caldi dei gialli scuri, degli arancio e dei color terra, con una grossa presenza degli azzurri e rossi, anche nelle vesti della Madonna che sorregge il corpo del figlio oramai morto, tanto che il suo sguardo è rivolto al cielo, ciò che colpisce è la plasticità dei panneggi e del corpo del Cristo, che con le ginocchia e il braccio sembrano uscire dall’intero impianto figurativo. A seguire due piccoli ambienti e un’uscita su di un ballatoio, siamo nella parte più alta costruita dell’Eremo. La storia dell’Eremo-Abbazia di Santo Spirito a Majella è ampia e varia, ha vissuto tantissime vicissitudini, abbandoni, terremoti, crolli, furti, numerosi atti vandalici, restauri, ecc., ma è sopravvissuta splendidamente fino ad oggi.
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I tesori di santa Madre Chiesa
Non a caso, Dio che è “l’Amore” e bellezza infinita per eccellenza, è senza ombra di dubbio il più grande ispiratore delle più grandi opere d’arte al mondo. E se pensando a come dei semplici blocchi di marmo sono diventati ad esempio opere come il Cristo Velato e la Pietà di Michelangelo si può provare a immaginare la fede dei dei suoi autori. Quanto stupore ha saputo suscitare nelle mani d’uomo il figlio di Dio?
Santa Madre Chiesa ha un incredibile patrimonio di opere d’arte che avvicinano l’anima dell’uomo a Dio. Ogni martedì pubblicheremo uno di questi patrimoni.
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