Emilce Cuda, la teologa “atipica” che parte dal popolo
Sul numero di febbraio di “Donne Chiesa Mondo”, il mensile de L’Osservatore Romano, l’intervista alla docente e scrittrice argentina, nominata ieri dal Papa segretario della Pontificia Commissione America Latina, ruolo nel quale affiancherà il professor Rodrigo Guerra López
di Lucia Capuzzi*
«Non lasciamoci disciplinare. Mai. Continuiamo ad essere appassionate, seduttive, a parlare con il linguaggio della parola e del corpo. Continuiamo ad incantare. Ora più che mai è necessario tornare ad incantare il mondo. Certo, correremo il rischio di essere definite matte, come fecero con le beghine secoli fa. Ma ne vale la pena. Per questo ripeto: non lasciamoci disciplinare». Questo è il sogno per le donne, dentro e fuori dalla Chiesa, di Emilce Cuda, la “teologa che sa leggere papa Francesco”. Così la chiamano ormai. “Colpa” di una recensione al suo libro Leggere Francesco, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. «È stato Austen Ivereigh, giornalista, amico e profondo conoscitore delle vicende vaticane, a definirmi così, giocando sulle parole del titolo…», sorride, scostando i capelli nerissimi sciolti sulle spalle, la capo ufficio della Pontificia commissione per l’America Latina, designata lo scorso luglio dal Papa insieme al nuovo segretario, il messicano Rodrigo Guerra. È la prima donna a ricoprire tale incarico. «Un posto dal forte valore simbolico, indipendentemente dalla funzione reale e dalla capacità operativa. Il che conferma l’attitudine del Papa nei confronti del mondo femminile».LEGGI ANCHE18/02/2022
Emilce Cuda, nominata segretario della Pontificia Commissione America latina
Francesco e le donne, una questione su cui si dibatte fin dall’inizio del Pontificato. Alcuni lo accusano di gattopardismo o immobilismo, altri di eccessive e pericolose aperture. «Il Santo Padre avvia processi. È questo che conta per lui», afferma la teologa “che lo sa leggere”. «Non ho mai avuto né ho la pretesa di “interpretare” il Papa. Con il saggio e con i miei interventi al riguardo, cerco solo di spiegare ai lettori, soprattutto ai non specialisti, il contesto sociale, culturale, ecclesiale, politico dell’Argentina in cui si è formato Jorge Mario Bergoglio. Una sorta di traduzione culturale non linguistica affinché l’opinione pubblica possa comprendere nel profondo le sue parole». Quasi un dovere morale per una porteña – cioè nata a Buenos Aires – doc. E non una porteña qualunque: Emilce Cuda è una delle maggiori esperte di Teologia del popolo, di peronismo, di populismo, di movimenti popolari e articolazioni sindacali. Una vastità di interessi in linea con il suo curriculum accademico, del tutto peculiare: la neo-capo ufficio della Pcal ha studiato in parallelo Teologia e Filosofia per poi dedicarsi a tempo pieno alla prima. E conseguire – fatto inedito a quel tempo per una donna – il dottorato in Teologia morale alla Pontificia università cattolica argentina (Uca). «Morale sociale», precisa Emilce Cuda. «Spesso si circoscrive la morale cattolica alla bioetica. In realtà, questa è solo uno dei due settori. L’altro è la morale sociale. Dedicarvisi implica lo studio della politica, dell’economia, della società, per poi pronunciarsi, dal punto di vista della dottrina cattolica, su tali questioni. Quando lo facciamo, specialmente se parliamo in difesa degli esclusi, però, spesse volte, veniamo accusati di “fare politica”. In realtà, stiamo solo facendo ciò che ci compete: i teologi di morale sociale. In questo mi sono specializzata». Il titolo di Emilce Cuda, oltretutto, è firmato dal cardinal Bergoglio, al tempo gran cancelliere della Uca di Buenos Aires. Uno dei tanti fili rossi che unisce la “teologa atipica” e il primo Papa argentino della cattolicità, insieme all’amore per Buenos Aires, il tango, la frequentazione degli ambienti popolari e della Chiesa incarnata in essi. Sono state le religiose della Divina Pastora ad insegnare alla futura accademica a leggere la Dottrina sociale della Chiesa. «E questo ha segnato la mia vita – sottolinea – Ho sempre avuto il desiderio di mettere a disposizione le mie conoscenze per alleviare le sofferenze delle persone più svantaggiate. Io stessa provengo da una famiglia umile, dunque conosco bene i sacrifici del popolo lavoratore per sopravvivere giorno dopo giorno».
«Non ho necessità che mi raccontino che cosa significhi lavorare con le mani, l’ho fatto anche io». So che cosa vuol dire quando ti fa male il corpo e non puoi fermarti. È un’altra cosa rispetto al lavoro intellettuale. Ora io sono impegnata dal lunedì al lunedì ma non è paragonabile», dice Emilce Cuda che, prima di essere una stimata docente e ricercatrice, è stata sarta e disegnatrice di moda, come dimostra l’eleganza impeccabile e il gusto per abiti insieme sobri e originali. Allo studio della Teologia, però, non è arrivata solo per fede, bensì per «inquietudine disciplinare-scientifica». «Distinguo sempre gli ambiti: da una parte c’è il credo, il lavoro pastorale e missionario, dall’altro lo studio».
Per accedere alla facoltà di Filosofia, pubblica e gratuita presso la prestigiosa università di Buenos Aires (Uba), era necessario superare un test ultra-selettivo. Confezionato a misura degli ex allievi dei licei pubblici e privati riservati ai rampolli dell’élite e non di chi, come Emilce Cuda, aveva frequentato le scuole cattoliche di periferia. L’alternativa era optare per gli studi in Teologia presso la Uca. «Ma era privata e non potevo permettermela». Il vicolo cieco, inaspettatamente, s’è trasformato in una doppia possibilità. «Ho saputo, quasi contemporaneamente, di aver superato la prova di ammissione alla Uba e di aver ricevuto, grazie all’intervento di Lucio Gera, pilastro della Teologia del popolo, una borsa di studio per la Uca». Invece di scegliere, Emilce Cuda ha deciso di raddoppiare, frequentando entrambe le facoltà. «Questo mi ha dato un vantaggio enorme. Avevo a disposizione due biblioteche. Quella “canonica” della Cattolica e quella secolare della Uba». Solo al termine di questo percorso duplice, è arrivata l’opzione definitiva per la Teologia e il lungo apprendistato con maestri del calibro di Ernesto Laclau alla Northwestern e Juan Carlos Scannone al Colegio Máximo di San Miguel. «Non potevo, dunque, che occuparmi di morale sociale». Ambito che l’ha portata a confrontarsi con universi considerati “maschili”, come i movimenti politici e i sindacati. Oltre che a battagliare per ritagliarsi uno spazio nelle strutture ecclesiastiche, all’epoca ben poco inclusive nei confronti delle donne. «Nel mondo secolare, come teologa non mi prendevano sul serio. Quando ho presentato il mio progetto sulla Teologia del popolo al principale istituto di ricerca argentino, l’hanno respinto su due piedi definendolo un “programma di auto-aiuto” più che un’indagine scientifica». Da quello studio è stato tratto uno dei primi articoli sulla figura di Jorge Mario Bergoglio, dopo l’elezione. A dispetto delle difficoltà, Emilce Cuda crede che l’alleanza fra i generi sia la chiave per uno sviluppo armonico della società. E della Chiesa. «Quest’ultima condivide i medesimi problemi della società in un contesto di globalizzazione.
«La radice dell’esclusione femminile è la medesima dell’esclusione dei poveri», afferma la teologa. E, come per essi, la prima forma di scarto è l’invisibilizzazione. «Prendiamo la manodopera informale, categoria in cui rientrano due miliardi di persone. Il loro lavoro, svolto a giornata per sopravvivere, dà un apporto fondamentale all’economia ma non viene contabilizzato. Nelle statistiche ufficiali, non esistono. Per la stessa ragione, spesso, si dice che non ci sono donne nella Chiesa. A volte lo dicono le stesse donne, rafforzando questa narrativa invisibilizzante. Dipende che cosa intendiamo per Chiesa. Se è solo la gerarchia, è vero. Ma se, come afferma il concilio Vaticano ii , è il Popolo di Dio, allora le donne ci sono eccome. Sono loro a incaricarsi di trasmettere la fede e sostenere anche materialmente la Chiesa. A chi obietta che l’assenza riguarda i posti decisionale, rispondo che c’è una questione previa da affrontare: riconoscere le tante lavoratrici già presenti, spesso senza salario. Perché le mansioni umili finiscono sempre per farle le donne?».
Come i poveri, tuttavia, per Emilce Cuda le donne hanno la virtù teologale della speranza. È questa la dinamo che le «mette in moto», la forza che consente loro di «curare e riciclare la vita». «Non solo la riproducono, la mantengono viva fra la nascita e la morte. Per questo, sogno che le donne non smettano mai di essere donne. La loro capacità di sedurre e incantare è importante per la redenzione, nella politica, nella Chiesa, nella società. Dobbiamo re-innamorarci di un progetto comune. Chi può farci re-innamorare se non le donne?».
* Giornalista di Avvenire