Educarsi alla tenerezza
In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Quale può essere un itinerario di massima per un’educazione o ri-educazione alla tenerezza che valga per tutti, separati o meno? È possibile delinearlo? Quali sono i passaggi decisivi?
Schematizzando, si possono indicare almeno quattro passaggi: «sentire», «amare», «sentirsi amati», «adorare». Il problema in primo luogo, è dunque quello di ritrovare il valore dei sentimenti come fonte di conoscenza, superando il superficiale pensare come unico statuto del sapere. Emarginare, soffocare o distruggere l’ambiente vitale originario della persona equivale a misconoscere e mutilare ciò che di più profondo costituisce il suo «esserci» e il suo stesso futuro. Non si tratta ovviamente di trascurare il ruolo critico della ragione o di opporre ragione e cuore, ma di affermare che il cuore conosce, e conosce ordini di realtà a cui la ragione da sola non è in grado di pervenire. Ciò è particolarmente vero per l’Assoluto di Dio, scrive Pascal: «È il cuore che sente Dio, non la ragione. Ed ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla ragione». Non è unitile notare come Pascal non parli di una «conoscenza», ma di un sentire, di un Dio sensibile al cuore, come di una forma di percezione che sgorga dall’intimo e conduce a un’unione d’amoree, da sperimentare in prima persona.
Sentire: la prima esigenza per l’educazione alla tenerezza è dunque quella di ritrovare il valore del sentire. Il «sentire» rappresenta un ambito essenziale del «divenire persona»: è il sentire, infatti, e non l’intelligere, il contesto vitale originario di sviluppo del soggetto umano:
- il bambino, prima di decodificare le parole, sente ciò che vive e sente di sentire;
- un sentirsi essere, radicalmente intriso di emozioni e di corporeità, al maschile o al femminile;
- un sentire di essere che appella ad un riconoscimento personale, in uno scambio affettivo di amore condiviso.
Ogni itinerario educativo alla tenerezza deve partire da questo fondamento: il sentirsi essere come il primo punto del divenire persona. Ed ecco la prima tappa dell’educazione alla tenerezza: educarsi a sentire e a sentire di essere.
Amare: il «sentire» non è, peraltro, un circuito chiuso in se stesso; al contrario, rimanda a un amore accolto e donato. Ricorda Mounier filosofo francese, noto per aver definito la posizione filosofica del personalismo comunitario: «L’atto di amore è la più salda certezza dell’uomo, il cogito esistenziale irrefutabile: Io amo, quindi l’essere è, e la vita vale la pena di essere vissuta». L’essere è inseparabile dall’amore: essere è amare; amare è essere. «Amo, dunque sono»: è in un quadro di questa natura che il conoscere attinge al suo pieno significato. Solo quando so amare sono in grado di conoscere. E tale è la seconda tappa di un itinerario educativo alla tenerezza: educarsi ad amare.
Essere amati: l’amare suppone il sentirsi amati. L’affermazione «amo, quindi sono» esige di essere coniugato con l’espressione «sono amato, dunque sono». La solitudine è il risvolto negativo, insopportabile e perfino tragico, del non sentirsi amati. Solo quando si è amati si è capaci di rispondere con l’amore e si conferisce un senso a tutto ciò che si è e si fa. Spiegava Giovanni Paolo II nell’Enciclica Redemptor Hominis, n. 10 del 4 marzo del 1979: «L’uomo non può vivere senza amare. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso se non gli viene rivelato l’Amore, se non si incontra con l’Amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente». Un’ulteriore tappa dell’educazione alla tenerezza implica, dunque, il sapere di essere amati e lo sperimentarlo in prima persona. L’amore chiama l’amore, come scriveva Manara, psicoterapeuta, nel libro Forte come la dolcezza, Milano 2004, pag. 18: «L’amore ricevuto ci spingerà a tendere all’amore per noi stessi, premessa fondamentale per disporci ad amare il prossimo. Il disprezzo ricevuto, o perlomeno percepito, farà invece maturare i presupposti di una tendenza forte a disprezzare gli altri e ad allontanarsi».
Adorare: a partire dall’esperienza del sentire di essere e del sentire di amare e di essere amati, l’esistenza si trasforma in un gesto di riconoscimento umile e adorante di colui che ci dina in ogni istante a noi stessi. «Adoro, dunque sono» tale è il fondamento ultimo dell’educazione alla tenerezza: riconoscere Dio come fonte di tutta la tenerezza nascosta in noi e avvertire che essa non è che un riflesso della tenerezza inesauribile di Dio Amore, e divenirne riconoscenti.
Educarsi alla tenerezza significa muoversi in quest’ottica globale, in una direzione esattamente opposta a quella che pervade la cultura odierna, tutta ripiegata su se stessa, sull’«avere» e non sull’«essere». La cultura della tenerezza si offre perciò come un progetto alternativo di vita in grado di far ritrovare la verità di noi stessi e del mondo. Non è forse vero che le più grandi tragedie della storia nascono dall’assenza della tenerezza, allorché prevale la logica dell’aggressività, dell’intolleranza, della vendetta e della violenza? La cultura della tenerezza è al contrario la cultura della convivialità, del perdono e della gioia.