E se ci fosse in ogni città un’ “unica parrocchia” gestita da più parroci?
L’ Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (per brevità “l’Istruzione”) è stata promulgata lo scorso 29 giugno. (Leggi).
Per evangelizzare occorre innanzitutto coltivare un’anima evangelizzatrice tra i fedeli ossia far sì che l’amore che si ha per Gesù diventi così grande che, usando un’espressione di papa Francesco, “ti fa alzare dal divano” per divenire dei docili strumenti dello Spirito Santo per divenire annunciatori della “Lieta Novella”. Dopo un anima che ha l’ardore di evangelizzare occorre cominciare a porsi delle domande prima tra tutte: a chi voglio arrivare? In linea teorica la risposta potrebbe essere tutti coloro che vivono nella mia città e che non incontro mai a messa. Nel trovare una risposta a questa domanda può divenire naturale pensare a un discorso di prossimità territoriale. A livello logistico la Chiesa è strutturata per parrocchie ma spesso manca una visione cittadina. In ogni città c’è un amministrazione comunale che pensa al bene cittadino in una ottica di unitarietà. Potrebbe essere bello se anche a livello ecclesiale si arrivi a una soluzione simile che porti a erigere una unica parrocchia cittadina ma gestita da un numero di sacerdoti adeguati al numero degli abitanti e che vanno ad amministrare i sacramenti indifferentemente in una chiesa o in un altra e tutti i beni e i carismi utilizzati in un ottica di unitarietà. Quale immagine forte darebbe un’unica parrocchia a chi non frequenta. Diventerebbe un riferimento cittadino alla stessa stregua di un comune.
La seconda parte dell’Istruzione (Dal 7° al 12 capitolo°) si occupa delle strutture delle parrocchie.
In questo articolo il contenuto integrale del VII capitolo parte a.
- Introduzione (Leggi)
- I. capitolo: “La conversione pastorale“ (leggi)
- II. La parrocchia nel contesto contemporaneo (leggi)
- III. Il valore della parrocchia oggi (leggi)
- IV. La missione, criterio guida per il rinnovamento – prima parte (leggi) – seconda parte (leggi)
- V. “Comunità di comunità”: la parrocchia inclusiva, evangelizzatrice e attenta ai poveri (leggi)
- VI. Dalla conversione delle persone a quella delle strutture (leggi)
- VII. La Parrocchia e le altre ripartizioni interne alla diocesi (leggi)
Di seguito il testo del settimo capitolo- parte a del documento.
VII.a. Come procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie
46. Innanzitutto, prima di procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie, il Vescovo deve necessariamente consultare in merito il Consiglio presbiterale[54], nel rispetto della normativa canonica e in nome della doverosa corresponsabilità ecclesiale, condivisa a diverso titolo tra il Vescovo e i membri di tale Consiglio.
47. Innanzitutto, i raggruppamenti di più parrocchie possono avvenire in semplice forma federativa, in modo che le parrocchie associate rimangano distinte nella loro identità.
Conformemente all’ordinamento canonico, comunque, nello stabilire ogni genere di raggruppamenti di parrocchie vicine, inoltre, va da sé che debbano essere rispettati gli elementi essenziali stabiliti dal diritto universale per la persona giuridica della parrocchia, i quali non sono dispensabili dal Vescovo[55]. Egli dovrà quindi emettere per ogni parrocchia che intenda eventualmente sopprimere un decreto specifico, corredato dalle motivazioni pertinenti[56].
48. Alla luce di quanto sopra esposto, dunque, il raggruppamento, nonché l’erezione o soppressione di parrocchie, va realizzato dal Vescovo diocesano nel rispetto della normativa prevista dal Diritto Canonico, cioè mediante incorporazione, per cui una parrocchia confluisce in un’altra, venendo da essa assorbita, e perdendo la sua originaria individualità e personalità giuridica; oppure, ancora, mediante vera e propria fusione, che dà vita a una nuova e unica parrocchia, con la conseguente estinzione delle parrocchie preesistenti e della loro personalità giuridica; o, infine, mediante divisione di una comunità parrocchiale in più parrocchie autonome, che vengono create ex novo[57].
Inoltre, la soppressione di parrocchie per unione estintiva è legittima per cause direttamente riguardanti una determinata parrocchia. Non sono invece motivi adeguati, ad esempio, la sola scarsità del clero diocesano, la situazione finanziaria generale della diocesi, o altre condizioni della comunità presumibilmente reversibili a breve scadenza (ad esempio, la consistenza numerica, la non autosufficienza economica, la modifica dell’assetto urbanistico del territorio). Come condizione di legittimità di questo genere di provvedimenti occorre che i motivi a cui ci si riferisce siano direttamente e organicamente connessi con la comunità parrocchiale interessata e non con considerazioni generali, teoriche e “di principio”.
49. A proposito dell’erezione e della soppressione di parrocchie, giova ricordare che ogni decisione deve essere adottata mediante formale decreto, redatto in forma scritta[58]. Di conseguenza, è da considerare non conforme alla normativa canonica emanare un unico provvedimento, volto a produrre una riorganizzazione di carattere generale riguardante l’intera diocesi, una parte di essa o un insieme di parrocchie, attuata tramite un unico atto normativo, decreto generale o legge particolare.
50. In modo particolare, nei casi di soppressione di parrocchie, il decreto deve indicare chiaramente, con riferimento alla situazione concreta, quali siano le ragioni che hanno indotto il Vescovo ad adottare la decisione. Esse dunque dovranno essere indicate specificamente, non potendo bastare una generica allusione al “bene delle anime”.
Nell’atto con cui si sopprime una parrocchia, infine, il Vescovo dovrà provvedere anche alla devoluzione dei suoi beni nel rispetto delle relative norme canoniche[59]; a meno che non vi siano gravi ragioni contrarie, sentito il Consiglio Presbiterale[60], occorrerà garantire che la chiesa della parrocchia soppressa continui a essere aperta per i fedeli.
51. Collegata al tema del raggruppamento di parrocchie e della eventuale soppressione di esse, è la necessità che a volte si verifica di ridurre una chiesa a uso profano non indecoroso[61], decisione che compete al Vescovo diocesano, dopo aver obbligatoriamente consultato il Consiglio Presbiterale[62].
Ordinariamente, anche in questo caso, non sono cause legittime per decretare tale riduzione la diminuzione del clero diocesano, il decremento demografico e la grave crisi finanziaria della diocesi. Al contrario, se l’edificio si trova in condizioni tali da non poter in alcun modo essere utilizzato per il culto divino e non ci sia possibilità di ripararlo, si potrà procedere a norma del diritto a ridurlo a uso profano non indecoroso.