Dio salva tutti indistintamente
Commento al Vangelo di don Simone Calabria
Nel Vangelo di oggi vediamo una madre straniera, Cananèa, intelligente e combattiva, forte, che non si arrende di fronte ai silenzi e alle risposte brusche di Gesù, che piange addolorata per la sofferenza della figlia. Quale genere di sofferenza? Una sofferenza spirituale, una malattia dello spirito.
Quante madri piangono per una ragione come questa? Per la malattia spirituale dei loro figli.
La malattia spirituale della nostra gioventù: un’indifferenza verso la verità, un’indifferenza per la ricerca della verità.
La conseguenza di ciò è un’aridità, un irrigidimento dello spirito. Scetticismo, indifferenza: il dubbio non è lo stimolo a cercare, ma il pretesto per non andare oltre, per non impegnarsi con la verità, caso mai accadesse di scoprirla. Si dubita di tutto, eccetto di ciò che ci fa comodo.
Vediamo anche un’incomprensibile e ostinata indifferenza da parte di Gesù: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”. Perché questa insensibilità proprio nel cuore di Colui che sa perfino scrutare i cuori di coloro che incontra? Ma è davvero insensibile al dolore di questa madre? La donna non abbandona la scena, non si arrende, ma rilancia. Sbarra il passo a Gesù, si butta a terra davanti a lui e dice: “Signore, aiutami”.
Gesù replica con una parola ancora più dura: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. I pagani, erano chiamati “cani” e disprezzati come tali.
E qui arriva la risposta geniale della donna: “è vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”.
È la svolta del racconto. Questa immagine illumina Gesù. Nel regno di Dio, non ci sono figli e non, uomini e cani. Ma solo fame e figli da saziare, e figli sono anche quelli che pregano un altro Dio.
“Allora Gesù le replicò: Donna, grande è la tua fede!: Lei che non va al tempio, che non legge i Profeti, che prega gli idoli cananei, è proclamata grande nella fede. Lei sa che il dolore è sacro, che le lacrime convocano tutta la compassione di Dio; che la persona, con la sua sofferenza, viene prima della religione.
Il silenzio di Gesù, la Sua apparente indifferenza aveva uno scopo.
Quel silenzio ha permesso che l’animo della donna si manifestasse apertamente, ha permesso che la preghiera diventasse grido, un’implorazione accorata, fatta con tutte le forze. La preghiera, per questa donna, è espressione della sua fede, della sua religiosità, in quanto coscienza della dipendenza da Dio.
La preghiera è renderci conto di che cosa “siamo”, è questa consapevolezza che ci fa commuovere.
Il punto più alto della preghiera non è l’estasi, ma vedere il fondo come si vedono le cose solite. «Ti ha messo alla prova per sapere cosa avevi nel cuore».
Quelle che noi molte volte consideriamo prove ingiuste; quel silenzio di Dio nei confronti dei nostri dolori, delle nostre sofferenze, che fa vacillare a volte la nostra fede nella Sua giustizia e bontà, questo percepire il Mistero (Dio) come lontano, è che c’è in noi un distacco tra ragione ed esperienza.
Che cosa ha fatto e continua a fare il Mistero per aiutarci a vincere questo distacco, per evitare che Dio sia percepito da noi come lontano, astratto? Come Dio ha sfondato questa lontananza? Incarnandosi, facendosi carne per condividere la nostra umanità.
Questa, allora, è in realtà la prova, il cammino che Gesù vuole farci percorrere per condurci al porto della salvezza. Poiché Egli sa che cosa è veramente bene per noi. Amen!