Mercoledì delle Ceneri: “Digiuno, preghiera, carità…umiltà”

Mercoledì delle Ceneri – Tempo di Quaresima

Commento al Vangelo di Matteo 6,1-6.16-18

A cura di Don Giovanni Boezzi

Carissimi, elemosina, preghiera e di digiuno erano sempre state le colonne portanti della religiosità ebraica e uno degli autorevoli scritti che ce ne fanno menzione è il libro di Tobia. Il protagonista dello scritto, Tobi, è un uomo di grande fede e di carità disinteressata, dedito alle tante elemosine e alla sepoltura dei cadaveri abbandonati per la strada e persevera in questa sua lodevole condotta anche dopo l’infortunio agli occhi che gli farà perdere la vista. E dopo aver bene educato il figlio Tobia ad adottare anch’egli, con la moglie Sara, questa stessa condotta, a un certo punto commenta: “E’ meglio la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l’ingiustizia. Meglio praticare l’elemosina che accumulare oro” (Tb 12, 8). Digiuno, preghiera e opere di bene sono elementi coesi e imprescindibili per ogni buona religiosità e metterli in atto comporta essere davvero fedeli a Dio. Ai tempi di Gesù, anche farisei e scribi conoscevano la prescrizione del digiuno e dell’elemosina associata alla preghiera e vi facevano sempre ricorso. Addirittura i farisei digiunavano tre volte alla settimana, mentre secondo le prescrizioni era sufficiente farlo una volta all’anno, cioè il giorno dell’espiazione dei peccati (Lv 16, 29); anche Gesù, quale vero ebreo zelante osservante della Legge, ne era consapevole e vi si atteneva e in effetti nel suo insegnamento non vi è nulla che si opponga alla triplice prassi suddetta. Oltretutto, proprio Gesù digiuna ancor prima di intraprendere il suo ministero di annuncio del Regno, addirittura nel deserto e perfino sottoposto alle tentazioni del maligno; in quella circostanza l’affidamento al Padre che è la sua unica risorsa lo sostiene e certamente lo incoraggia anche lo zelo per i destinatari del suo messaggio, in definitiva per tutti noi.

In questa pericope di Matteo però si individua un comune denominatore ai tre aspetti della preghiera, del digiuno e dell’elemosina: l’umiltà. Il digiuno va fatto come personale segno di liberazione dalla zavorra ostativa all’incontro con Dio, come liberazione dall’innecessario perché lo spirito si elevi al Signore e appunto per questo non deve avere come obiettivo l’approvazione di chi potrebbe osservarci. Ai nostri giorni il digiuno che in tempi di quaresima ci si chiede non è poi così paradossale ed estenuante: occorre solamente non consumare carne il Mercoledi delle Ceneri e il Venerdi Santo e in tali giorni rinunciare a un pasto oppure, secondo le necessità, a una pietanza. Entrando nel tempio di Gerusalemme e gettando la propria offerta nella zona riservata al “tesoro”, era prassi proclamare l’entità dell’offerta versata attraverso appositi strumenti simili alle trombe ed era comune usanza farisaica vantarsi e gonfiarsi per ogni singola opera di bene. Gesù condanna questo atteggiamento “ipocrita”, che tradotto dal greco dà l’idea di un attore saltimbanco esibizionista, quindi di falsità e di millanteria. Il Signore ama chi dona con gioia (2Cor 9, 7), secondo la sua reale sensibilità e secondo la bontà oggettiva del proprio cuore. Per questo motivo “è meglio un piatto di verdura con l’amore che un bue grasso con l’odio” (Prov 15, 17) e con questo concetto possiamo intendere che è sempre preferibile dare poco con vero amore e semplicità, piuttosto che tanto per pura ostentazione. E infine non è certo gradita a Dio la preghiera istoriata dal chiacchiericcio e dal banale multiloquio, perché se è vero che il troppo parlare non è mai esente da colpa (San Francesco di Paola) è altrettanto vero che l’orazione che adopera parole in eccesso e prolissità di concetti può condurre all’arroganza e alla presunzione, all’ostentazione di presunte capacità oratorie e perfino alla personale autoesaltazione davanti a Dio, come del resto si evince nel raffronto parabolico fra la preghiera del fariseo e quella del pubblicano (Lc 18, 9 – 14).

Il brano evangelico che ci viene proposto in questa giornata sarebbe comprensivo della preghiera del Padre Nostro (omessa nel testo presente) che attesta che la vera preghiera è propensione ad esternare e a coltivare la fede, la propria confidenza nel Padre misericordioso; essa che riguarda la lode a Dio e alla sua grandezza, l’affermazione della sua volontà e la fiducia in lui come Provvidenza quanto al sostentamento materiale. E soprattutto comporta l’affidamento allo stesso Padre celeste perché ci si astenga dall’offenderlo nel peccato, quindi per inciso ai fini di amore e di carità. Appunto per questo nella preghiera il multiloquio non è appropriato: chi ha fede in Dio non necessita di tante parole per pregare; al contrario, meno si ha fede più si avverte il bisogno di sprecare parole. Dio ascolta un cuore attento e disponibile piuttosto che un monologo vacuo e inconcludente, peggio ancora se presuntuoso. Soprattutto perché la preghiera unita al digiuno e alle opere di bene è elemento di supporto al processo di mutazione interiore e di trasformazione radicale che ci interessa tutti quanti e che ci orienta verso Dio, cioè la conversione. La quaresima, tempo privilegiato di penitenza e di conversione come altrettanto privilegiato è l’obiettivo di Dio, comincia allora con quella prerogativa contrassegnata dalle famose ceneri imposte sul capo di ciascuno, che sono indice di una volontà sentita di accrescimento di noi stessi, di elevazione e di apertura verso Altro da noi. E’ infatti con umiltà, per umiltà e nell’umiltà che ci si converte a Dio e sempre l’umiltà disinteressata è la virtù che rende possibile l’esercizio fruttuoso dei tre coefficienti suddetti di preghiera, digiuno e carità che altrimenti sarebbero solamente azioni da saltimbanco.

Oggi prego con il Salmo 50.

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Dal Vangelo secondo Matteo (6.1-6.16-18)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipòcriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipòcriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipòcriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».  

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