Benedetti da Dio all’inizio di un nuovo anno
(Commento al Vangelo di don Gianni Carozza)
I credenti chiedono all’inizio di un anno che sia Dio a benedire, a dire bene dei suoi figli, a dire il bene per i suoi figli. Perché il dire bene, il benedire di Dio, non è una parola vuota, ma parola efficace, parola che crea, che suscita. Parola che fa camminare i sogni.
Perché l’aria che stiamo respirando è come aria intrisa di maledizioni. Sembra di vivere il vuoto della speranza. Al di là delle, fin troppo facili, dissimulazioni ci sembra di sorprendere visi spenti, come rassegnati a una realtà grigia, percepita come immodificabile, sentita come una maledizione. Una stagione sfortunata, che ci fa arresi. La notizia buona, che porta fuori da questo andare a occhi bassi, a passi sconfortati, è che Dio ancora dice bene dei suoi figli. Per questo non sarebbe una buona notizia una chiesa che dimenticasse la benedizione, optando per parole intrise, più o meno apertamente, di sconforto e di maledizione.
I toni cupi e risentiti hanno mai risvegliato i sogni e le energie di qualcuno? “Voi” dice Dio “porrete il mio nome sui figli di Israele e io li benedirò” (Nm 6,27). Chi più, chi meno, forse tutti, sulla soglia dell’anno nuovo abbiamo augurato alla nostra casa, alla casa dei nostri amici, alla casa della chiesa, alla grande casa della terra un anno “buono”.
Sarebbe estremamente importante che da quelle parole di augurio ci sentissimo impegnati, così come sarebbe bello che sempre sentissimo la responsabilità delle parole che diciamo e dunque responsabili anche di quell’augurio, e dunque chiamati oggi a fare tutto quello che è nelle nostre mani perché l’anno sia buono, perché il degrado sia allontanato, perché quanto nelle parole abbiamo evocato come bello almeno in parte, per la nostra parte, si realizzi.