“Assembramento divino”
(Commento al Vangelo di don Pieralbert D’Alessandro)
Dopo la solennità della Pentecoste, La Liturgia ci ricorda (come sempre, d’altronde) l’identità di Dio: Uno e Trino, Dio in relazione! la Santissima Trinità.
Tanto dibattuta e discussa e giustamente, oserei dire, incomprensibile fino in fondo, proprio perché riguardante Dio.
Non è facile alzare lo sguardo su questo mistero, forse viene spontaneo abbassare gli occhi sulle sue opere: il mondo, la vita, le persone. Così come non è facile fissare il sole, è meglio guardare i colori della natura immersa nel mare di luce di un Aurora.
Per questo ricordiamo che siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, quindi siamo il primo indizio necessario. Siamo trascendenza e come tale dobbiamo domandarci: chi siamo? cosa desideriamo? e dove siamo diretti.
Nicodemo, un fariseo abbastanza curioso, si appresta alla figura di Cristo, ovvero con la seconda persona della Santissima Trinità il Figlio Unigenito di Dio.
Soltanto in relazione con Lui, innescando il meccanismo della preghiera, riusciamo a far sorgere in noi la verità su noi stessi, in quanto il Signore è vero Dio e vero uomo e fare esperienza del Dio Trinitario.
Anche San Paolo ha attraversato la stessa esperienza nella sua vita.
Dopo la conversione a Cristo e la predicazione ha avuto modo di percepire questo Dio trinitario, a tal punto di trovare proprio nei suoi scritti, così come nella seconda lettera ai Corinzi di questa odierna liturgia, la descrizione dell’unità del Dio Trino : “la grazia del Signore Gesù Cristo l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”.
Quindi parlare di Dio significa parlare dell’uomo e in qualche modo parlare dell’uomo vuol dire arrivare a Dio. Il saluto di Paolo ricordato ogni domenica come saluto liturgico non è solo un augurio, ma è una memoria viva. Siamo immersi nell’amore di un Dio comunione.
Se guardiamo alla sorgente della vita scopriamo l’iniziativa di un amore creativo, se guardiamo dentro l’esistenza quotidiana possiamo far esperienza dell’amore liberante del figlio di Dio, se guardiamo al futuro dell’avventura umana di ciascuno avvertiamo la spinta verso la comunione e sete di compimento e pienezza nello spirito.
L’uomo è un progetto incompiuto. Solo guardando dentro e in alto si vede la luce di un’esistenza piena.
Ma il rischio di esproprio esiste: essere vittime dello slogan suggerito dalla regia Diabolica del mondo:”il corpo è mio e ne faccio ciò che voglio” o semplicemente”la vita è mia e faccio quel che mi pare”. Questo slogan è frutto non dell’Unità presente nella triade Suprema ma della volontà di “uniformare” cioè rendere tutti uguali secondo solo e soltanto alcuni aspetti: relativismo, soggettivismo, libertinaggio e assenza di Dio.
Proviamo invece a guardare il nostro mondo personale, il corpo, la libertà, i progetti dal punto di vista di Dio, cioè dell’unità nella diversità: guardiamo il bambino, l’anziano, il povero, il disgraziato, l’altro, con gli occhi di Dio. Una bellezza data dalla libera diversità di una creazione meritevole dell’Amore di Dio a tal punto da “mandare il Figlio Unigenito come sacrificio” solo di fronte la percezione di quest’Amore nella differenza creiamo unità, spinti verso un unica direzione!
La fede seria cambia il cuore, il cuore cambia la qualità dei rapporti. La vita diventa un’altra cosa.
Non uniformiamoci ma uniamoci sotto e in nome dell’Amore Trinitario.