“Anche senza cadere da cavallo, vi auguro di fare la stessa esperienza”

(Don Gilberto Ruzzi)

CONVERSIONE DI PAOLO – Michelangelo Merisi, 1604-5

Del mezzo di trasporto usato da Saulo di Tarso per recarsi da Gerusalemme a Damasco, Luca, nel celebre racconto degli Atti degli apostoli, ma lo stesso Paolo nelle sue versioni del racconto tace a riguardo, non ne fa menzione; però l’iconografia tradizionale che ha fissato questo episodio, generalmente, immortala un co-protagonista: il cavallo. Tanto è presente questo particolare, in alcuni casi come vedremo tutt’altro che secondario, che anche nella predicazione sovente si sente dire che Paolo “Cadde da cavallo”. E come disse ad un alunno, in corso di esame, un professore di esegesi neotestamentaria: “Apra il libro degli Atti e mi trovi questo cavallo!”.

Probabilmente l’esempio più famoso di tale soggetto iconografico è la “Conversione di Paolo” di Michelangelo Merisi detto “Il Caravaggio”, tela del 1604-5, che ancora oggi è possibile ammirare nella cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo, a Roma. Insieme con la “Crocifissione di Pietro” che le sta di fronte, la tela occupa il posto di un altro dipinto, con lo stesso soggetto, che Caravaggio dipinse su commissione di Tiberio Cerasi, tesoriere di Papa Clemente VIII, nel 1601. Le prime versioni dei due quadri non vennero mai collocate nella cappella, il motivo non è chiaro, ma potrebbe essere molto meno complicato di quanto ipotizzato nelle ricostruzioni più fantasiose: semplicemente il pittore, dopo aver visto gli spazi reali della cappella progettata dal Maderno, ripensò la composizione dei due quadri, così le due prime versioni dipinte ad olio su tavola finirono in mano a privati (la conversione di Paolo è ancora oggi nella collezione Odescalchi), e le due tele che Caravaggio dipinse ex novo vennero collocate nella cappella della famiglia Cerasi.

Il grande Roberto Longhi, commentando la tela, la ribattezzò “la conversione del cavallo”. E già, perché se nella “Conversione Odescalchi” l’equino è parte dello sfondo, quasi una quinta teatrale che copre l’orizzonte fluviale, in questa di Santa Maria del Popolo, domina la scena, e lo fa col suo poderoso posteriore, gareggiando con quello dell’aguzzino che nella tela di fronte fa leva con le spalle per issare la croce di San Pietro. Ma non solo…

Rispetto alla versione del 1601, questa è decisamente meno affollata: se in quella compare anche il Cristo che irrompe dall’alto, – quasi si può sentire il fracasso dei rami rotti, il tonfo di Saulo e il “fastidio” della luce accecante dalla quale il futuro apostolo si scherma – nel dipinto della cappella Cerasi i personaggi sono ridotti all’essenziale, la prospettiva schiacciata crea un effetto più intimo, il tono generale è più intimo, raccolto, è sparito anche il paesaggio; la luce dall’alto (traccia importante dell’evoluzione stilistica del pittore) riverbera dal manto del cavallo su Saulo accecato, steso a terra, con le braccia alzate, quasi fosse in attesa di un abbraccio: nel suo buio tende le mani verso quella luce che lo sta avvolgendo.

Caravaggio, così, ci ricorda che Saulo/Paolo è stato “afferrato da Cristo” (Fil 3,12). 

Anche senza cadere da cavallo, vi auguro di fare la stessa esperienza.

Buona giornata e buona festa della “Conversione di San Paolo”. Vostro don Gilberto

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