“A Dio basta che facciamo il primo passo”

(Commento al Vangelo di don Simone Calabria)

“Ma il padre disse ai servi: “prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. 

Il Vangelo di oggi esprime la gioia di Dio quando ritrova i suoi figli che si erano smarriti.

La parabola del Padre misericordioso è la più bella, la possiamo dividere in quattro scene. 

Prima scena: “Un padre aveva due figli”. Nella Bibbia, quest’inizio causa subito una preoccupazione: le storie di fratelli non sono mai facili, spesso raccontano drammi di violenza, menzogne, ci riportano alla mente le figure di Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, e il dolore dei genitori.

“Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Il figlio minore se ne va, in cerca di se stesso, con la sua parte di eredità, di “vita”. E il padre non si oppone, lo lascia andare anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. È un Padre giusto. Davvero sciocco il figlio! Preferisce una parte al tutto. In quel giovane, come spesso in ognuno di noi, c’era il fastidio per ciò che è comune; il fastidio di non essere padroni assoluti di se stessi e delle proprie cose.

Seconda scena: “Partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto”. Quello che il giovane inizia è il viaggio della libertà, ma le sue scelte si rivelano come scelte senza salvezza (“sperperò le sue sostanze vivendo in modo dissoluto”).

È un’illusione di felicità da cui si risveglierà in mezzo ai porci, costretto a rubare loro le carrube per sopravvivere: il “principe ribelle” è diventato servo. 

Allora rientra in sé, lo fanno ragionare la fame, la dignità umana perduta, il ricordo del padre: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Decide di ritornare, non come figlio, ma come uno dei servi: non cerca un padre, cerca un buon padrone; non torna per senso di colpa, ma per fame; non torna per amore, ma perché muore. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in cammino, a lui basta il nostro primo passo.

Terza scena: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Ora l’azione diventa imminente. Il padre lo vede che era ancora lontano, e mentre il figlio cammina, lui corre. E mentre il ragazzo prova una scusa, il padre non rinfaccia ma abbraccia: ha fretta di capovolgere la lontananza in tenerezza. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Dio, non ha figli da buttare! E lo mostra con gesti che sono sia materni che paterni: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Ultima scena: “Il figlio maggiore si trovava nei campi”.

Lo sguardo ora lascia la casa in festa e si posa sul figlio maggiore che si avvicina, di ritorno dal lavoro. È un buon lavoratore, ubbidiente e infelice.

È alle prese con l’infelicità che deriva da un cuore indurito, che non ama le cose che fa’: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici”.

Il cuore è assente, il cuore è altrove. E il padre, che cerca figli e non servi, fratelli e non rivali, lo prega con dolcezza di entrare: è in tavola la vita…“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Carissimi, tutto questo significa “Convertirsi, cambiare mente e cuore”.Che splendida parabola questa di oggi! In una società a volte così poco pronta a perdonare, tutti noi abbiamo estremo bisogno di un Padre così come ce lo presenta il Vangelo, abbiamo bisogno di una casa come questa, dove non solo siamo accolti, ma abbracciati con gioia.

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