“A chi devo voler più bene, mamma o papà?”
In dialogo con i fratelli e sorelle separati, divorziati, e divorziati risposati
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Carissimi, oggi Emanuele ci continua a parlare sul problema figli, cosa si può fare per loro e cosa lasciargli in eredità. «Anche in questa nostra epoca, come in passato, la Chiesa mette la sua maternità al servizio dei bambini e delle loro famiglie. Ai genitori e ai figli di questo nostro mondo porta la benedizione di Dio, la tenerezza materna, il rimprovero fermo e la condanna decisa. Con i bambini non si scherza! Il Signore giudica la nostra vita ascoltando quello che gli riferiscono gli angeli dei bambini, angeli che “vedono sempre il volto del Padre che è nei cieli” (cf. Mt 18,10). Domandiamoci sempre: che cosa racconteranno a Dio, di noi, questi angeli dei bambini?» (Papa Francesco, Udienza Generale, 8 aprile 2015).
E iniziavo così a capire che il dono più grande, l’unica vera eredità che potremo lasciare ai nostri figli è la fede, e a desiderare per mio figlio più di ogni altra cosa che possa ricevere il dono della fede. Molto spesso, purtroppo, le ferite dei figli dei separati si riflettono anche nel loro rapporto con la spiritualità e la fede. Questo perché punti di vista che erano prima della separazione così naturalmente convergenti tra i coniugi, in modo particolare quanto alla vita e all’educazione dei figli, diventano improvvisamente divergenti. È così che spesso anche la trasmissione della fede, anziché quel “raccontare di Dio” attraverso la vita quotidiana della famiglia, può diventare un altro oggetto di contesa e controversia tra i genitori, col risultato che tutto ciò diviene un ulteriore motivo di disagio psicologico per i figli. «I figli si trovano di fronte all’indissolubile dilemma di voler bene ad un padre e ad una madre che non si amano più o che si odiano profondamente, in una situazione in cui spesso la dimostrazione di affetto verso un genitore è considerato un tradimento dall’altro; essi sono perseguitati da un conflitto di lealtà che gli impedisce di vivere il proprio ruolo di figli» (Prof. Emery, professore di psicologia e direttore del “Center for Children, Families and the Law” presso la University of Virginia). Molto frequentemente, anche se non sempre per fortuna, ne consegue che le modalità ordinarie, tradizionali, della trasmissione della fede non possono essere applicate per i figli dei separati.
Ma come fa un bambino, infatti, spesso mi sono chiesto, a credere alle parole di un genitore, che certo le esprime in buona fede e con le migliori intenzioni, quando ciò che in modo del tutto naturale e istintivo credeva in modo assoluto, e cioè che mamma e papà si vorranno sempre bene, è stato radicalmente negato? Capite quanto è grande la loro ferita? E allora, l’unica cosa che rimane è pregare in ginocchio ai piedi di Maria e dirle: “E tuo figlio, pensaci tu!…”. La nostra speranza è che la nostra fedeltà a Dio, il nostro silenzioso patire, le nostre lacrime nascoste arrivino anche a loro, e compiano ciò che è umanamente impossibile. Credo che sarà soprattutto la testimonianza sofferta e silenziosa a portare, quando sarà il momento, i frutti che al momento sembrano impossibili, anche ricercando strade diverse, sfacendosi ispirare dallo Spirito Santo la “fantasia del bene”.
E credo che sia urgentemente necessario individuare percorsi di condivisione per i figli, sensibilizzare la comunità ecclesiale, le parrocchie, le scuole, gli istituti. Fare arrivare in più ambienti la loro problematica e il loro bisogno di ascolto. Speriamo che anche la pastorale catechistica sappia interrogarsi con umiltà, e trovare linguaggi, atteggiamenti e sensibilità adeguate per affrontare queste nuove realtà.
(fine sesta parte)