L’amore cresce fino alla maturazione nel perdono
«Non tiene conto del male ricevuto» (1Cor 13,5)
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Papa Francesco al n. 106 dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia, scrive: «Quando siamo stati offesi o delusi, il perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che sia facile. La verità è che “la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscono violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare” (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 22 novembre 1981, 21)».
Carissimi, l’amore rispettoso non compie azioni che feriscono l’altro, evita all’altro ogni male. Ma anche questo carattere dell’amore cristiano non ne esaurisce la grandezza. L’amore cresce fino all’iperbole nel perdono. Il perdono è il dono dell’amore elevato alla massima potenza. Nel perdono, l’amore non tiene conto del male ricevuto, ma lo dissolve abbracciandolo. Alla radice di un conflitto c’è un debito. Questo debito – lascia intendere il Vangelo (cfr Mt 18,21-35) – è reale. Ilo creditore non sta falsando i conti: l’altro effettivamente gli deve qualcosa. Il Vangelo illumina la vita amorosa e rivela che in amore la situazione non è di perfetta parità: capita che l’uno sia in debito nei confronti dell’altro. Ciò invita a non cadere in un certo idealismo che immagina soprattutto il rapporto di coppia come un patto al riparo da ogni ingiustizia. L’illusione ideale, scontrandosi con la vita reale, si trasformerà prima o poi in delusione o frustrazione.
La parabola invita a non negare il debito, ma a riconoscerlo. L’amore e sotto un certo aspetto un debito che si contrae nei confronti dell’altro: l’altro è in debito del dono della mia vita. Questo debito reciproco assunto per amore, deve fare i conti con i limiti, l’immaturità, le resistenze, le crisi, i peccati che ciascuno in quanto persona umana, porta con sé. Quando l’altro, invece che vivere come ha promesso, non corrisponde al debito d’amore che liberamente ha scelto, cosa capita? Una possibilità – come si è detto – è il sorgere del conflitto. Il criterio della relazione diviene quello della legge da osservare: patti chiari e amicizia lunga. La trasgressione del patto amoroso non si riduce al tradimento, ma contempla innumerevoli modi e sfumature meno appariscenti, ma non per questo meno insidiose.
In amore può anche capitare di essere in credito nei confronti dell’altro. La parabola invita chiaramente a non impugnare il proprio credito come un’arma per condannare l’altro. Chi è in credito non solo è invitato a non pretendere il dovuto, ma addirittura gli è richiesto di condonare il debito.
I gesti dell’amore sono i gesti della gratuità. La massima gratuità è quella del perdono, la forma per eccellenza dell’amore. Nel perdono la gratuità risplende senza possibili ambiguità. Il perdono non è perdonismo, ovvero chiusura non di uno ma di entrambi gli occhi, ma possibilità concessa all’altro affinché, conoscendo la gratuità dell’amore, possa pagare il debito amoroso che ha liberamente contratto. Marito e moglie, per esempio, possono trasformarsi nel servo che afferra l’altro per la gola, col proposito di soffocarlo. Marito e moglie possono però essere l’un per l’altra il padrone che, pur avendo tutte le ragioni dalla sua parte, perdona per amore. Così facendo essi consentono al Signore di manifestarsi nella vita di coppia come Colui che dà la forza di perdonare e che perdona. Nel perdono scambiato tra i coniugi è infatti all’opera l’amore divino.
Per togliere ogni ombra di dubbio al fatto che il perdono sia la legittimazione dell’ingiustizia, non si dimentichi che la sorte riservata al servo malvagio è di finire in mano agli aguzzini. Il perdono è in vista della ritrovata comunione matrimoniale. Laddove un coniuge non avesse alcuna intenzione di riconoscere il debito che ha contratto, ma giocasse ambiguamente sulla bontà dell’altro, magari pretendendo di essere perdonato in nome del Vangelo, l’altro coniuge non dovrà essere tanto ingenuo da cadere in una logica che, invece di favorire la responsabilità, diviene complice dell’irresponsabilità altrui. Come si potrà perdonare? Dove trovare la forza del perdono, non solo nei primi sette giorni di matrimonio e neanche solo nei primi sette mesi o sette anni, ma sempre? Il perdono è un gesto di grazia, è gratis. Senza la grazia il perdono è uno sforzo sovraumano o, al massimo, un obbligo cui piegare il capo per via del comandamento di Gesù. La grazia del perdono non è reperibile che come dono. Il perdono coniugale, cemento dell’amore indissolubile, è dono dello Spirito Santo. Dio è in debito d’amore nei confronti dei coniugi: a lui essi possono attingere sempre, senza temere di esaurirne le riserve. Solo in questa prospettiva il comandamento cristiano del perdono viene sottratto alla banalizzazione moralistica e conserva il suo carattere di «evangelo», di lieto annunzio. Solo così il perdono può essere annunciato come credibile impegno: gratuitamente avere ricevuto il perdono, gratuitamente perdonate.