La struttura di una parrocchia
L’ Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (per brevità “l’Istruzione”) è stata promulgata lo scorso 29 giugno. (Leggi).
- Introduzione (Leggi)
- I. capitolo: “La conversione pastorale“ (leggi)
- II. La parrocchia nel contesto contemporaneo (leggi)
- III. Il valore della parrocchia oggi (leggi)
- IV. La missione, criterio guida per il rinnovamento – prima parte (leggi) – seconda parte (leggi)
- V. “Comunità di comunità”: la parrocchia inclusiva, evangelizzatrice e attenta ai poveri (leggi)
- VI. Dalla conversione delle persone a quella delle strutture (leggi)
- VII. La Parrocchia e le altre ripartizioni interne alla diocesi (leggi)
- VII.a. Come procedere all’erezione di un raggruppamento di parrocchie (leggi)
- VII. La Parrocchia e le altre ripartizioni interne alla diocesi(b,c,d,e) (leggi)
Di seguito il testo integrale dell’ottavo capitolo.
VIII. Forme ordinarie e straordinarie di affidamento della cura pastorale della comunità parrocchiale
62. In primo luogo, il parroco e gli altri presbiteri, in comunione con il Vescovo, sono un riferimento fondamentale per la comunità parrocchiale, per il compito di pastori che a loro corrisponde[82]. Il parroco e il presbiterio, coltivando la vita comune e la fraternità sacerdotale, celebrano la vita sacramentale per la comunità e insieme a essa, e sono chiamati a organizzare la parrocchia in modo tale da essere segno efficace di comunione[83].
63. In relazione alla presenza e alla missione dei presbiteri nella comunità parrocchiale, merita una particolare menzione la vita comune[84]; essa è raccomandata dal can. 280, anche se non si configura come un obbligo per il clero secolare. Al riguardo, va ricordato il fondamentale valore dello spirito di comunione, della preghiera e dell’azione pastorale comune da parte dei chierici[85], in vista di una effettiva testimonianza di fraternità sacramentale[86] e di una più efficace azione evangelizzatrice.
64. Quando il presbiterio sperimenta la vita comunitaria, allora l’identità sacerdotale si rafforza, le preoccupazioni materiali diminuiscono e la tentazione dell’individualismo cede il passo alla profondità della relazione personale. La preghiera comune, la riflessione condivisa e lo studio, che non devono mai mancare nella vita sacerdotale, possono essere di grande sostegno nella formazione di una spiritualità presbiterale incarnata nel quotidiano.
In ogni caso, sarà conveniente che, secondo il suo discernimento e nel limite del possibile, il Vescovo tenga conto dell’affinità umana e spirituale tra i sacerdoti, ai quali intende affidare una parrocchia o un raggruppamento di parrocchie, invitandoli a una generosa disponibilità per la nuova missione pastorale e a qualche forma di condivisione di vita con i confratelli[87].
65. In alcuni casi, soprattutto dove non esiste tradizione, o consuetudine di casa canonica, o quando essa non è per qualche ragione disponibile come abitazione del sacerdote, può accadere che egli ritorni a vivere presso la famiglia di origine, primo luogo di formazione umana e di scoperta vocazionale[88].
Tale sistemazione, per un verso si rivela un apporto positivo per la vita quotidiana del prete, nel senso di garantirgli un ambiente domestico sereno e stabile, soprattutto quando siano ancora presenti i genitori. D’altra parte, si dovrà evitare che tali relazioni familiari siano vissute dal sacerdote con dipendenza interiore e minore disponibilità per un ministero a tempo pieno, o come alternativa escludente – piuttosto che come complemento – al rapporto con la famiglia presbiterale e la comunità dei fedeli laici.
VIII.a. Parroco
66. L’ufficio di parroco comporta la piena cura delle anime[89] e, di conseguenza, perché un fedele sia validamente nominato parroco, occorre che abbia ricevuto l’Ordine del presbiterato[90], esclusa ogni possibilità di conferire a chi ne fosse privo tale ufficio o le relative funzioni, anche nei casi di carenza di sacerdoti. Proprio per il rapporto di conoscenza e vicinanza che si richiede tra un pastore e la comunità, l’ufficio di parroco non può essere affidato a una persona giuridica[91]. In modo particolare – a parte quanto previsto dal can. 517, §§ 1-2 – l’ufficio di parroco non può essere affidato a un gruppo di persone, composto da chierici e laici. Di conseguenza, sono da evitare denominazioni come, “team guida”, “équipe guida”, o altre simili, che sembrino esprimere un governo collegiale della parrocchia.
67. In conseguenza del suo essere il «pastore proprio della parrocchia affidatagli»[92], al parroco spetta ipso iure la rappresentanza giuridica della parrocchia[93]. Egli è l’amministratore responsabile dei beni parrocchiali, che sono “beni ecclesiastici” e sono pertanto sottoposti alle relative norme canoniche[94].
68. Come afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II, «i parroci nella loro parrocchia devono poter godere di quella stabilità nell’ufficio che il bene delle anime esige»[95]. Come principio generale, si richiede quindi che il parroco sia «nominato a tempo indeterminato»[96].
Il Vescovo diocesano, tuttavia, può nominare parroci a tempo determinato, se così è stato stabilito per decreto dalla Conferenza Episcopale. In ragione della necessità che il parroco possa stabilire un effettivo ed efficace legame con la comunità affidatagli, è conveniente che le Conferenze Episcopali non stabiliscano un tempo troppo breve, inferiore ai 5 anni, per la nomina a tempo determinato.
69. In ogni caso, i parroci, anche se nominati a “tempo indeterminato”, o prima della scadenza del “tempo determinato”, devono essere disponibili per essere eventualmente trasferiti a un’altra parrocchia o a un altro ufficio, «se il bene delle anime oppure la necessità o l’utilità della Chiesa lo richiedono»[97]. Giova infatti ricordare che il parroco è al servizio della parrocchia, e non il contrario.
70. Ordinariamente, ove possibile, è bene che il parroco abbia la cura pastorale di una sola parrocchia, ma «tuttavia per la scarsità di sacerdoti o per altre circostanze, può essere affidata al medesimo parroco la cura di più parrocchie vicine»[98]. Ad esempio, tra le “altre circostanze” possono essere annoverate l’esiguità del territorio o della popolazione, nonché la contiguità tra le parrocchie interessate. Il Vescovo diocesano valuti attentamente che, se allo stesso parroco sono affidate più parrocchie, questi possa esercitare pienamente e concretamente come vero pastore l’ufficio di parroco di tutte e di ciascuna di esse[99].
71. Una volta nominato, il parroco rimane nel pieno esercizio delle funzioni affidategli, con tutti i diritti e le responsabilità, fino a quando non abbia cessato legittimamente il suo ufficio pastorale[100]. Per la sua rimozione o per il trasferimento prima della scadenza del mandato devono essere osservate le relative procedure canoniche, di cui la Chiesa si serve per il discernimento di ciò che conviene nel caso concreto[101].
72. Quando lo richiede il bene dei fedeli, anche se non ci sono altre cause di cessazione, il parroco che ha raggiunto i 75 anni di età, accolga l’invito che il Vescovo diocesano può rivolgergli a rinunciare alla parrocchia[102]. La presentazione della rinuncia, raggiunti i 75 anni di età[103], da considerarsi un dovere morale, se non canonico, non fa sì che il parroco decada automaticamente dal suo ufficio. La cessazione da esso avviene solo quando il Vescovo diocesano abbia comunicato al parroco interessato, per iscritto, l’accettazione della sua rinuncia[104]. D’altra parte, il Vescovo tenga in benevola considerazione la rinuncia presentata da un parroco, anche solo in ragione del compimento dei 75 anni.
73. In ogni caso, al fine di evitare una concezione funzionalistica del ministero, prima di accettare la rinuncia, il Vescovo diocesano pondererà prudentemente tutte le circostanze della persona e del luogo, come ad esempio la presenza di motivi di salute o disciplinari, la scarsità di sacerdoti, il bene della comunità parrocchiale, e altri elementi di tal genere, e accetterà la rinuncia in presenza di una causa giusta e proporzionata[105].
74. Diversamente, se le condizioni personali del sacerdote lo permettono e l’opportunità pastorale lo consiglia, il Vescovo consideri la possibilità di lasciarlo nell’ufficio di parroco, magari affiancandogli un aiuto e preparando la successione. Inoltre, «secondo i casi, il Vescovo può affidare una parrocchia più piccola e meno impegnativa ad un parroco che ha rinunciato»[106], o comunque gli assegni un altro incarico pastorale adeguato alle sue concrete possibilità, invitando il sacerdote a comprendere, se ce ne fosse bisogno, che in nessun caso dovrà sentirsi “retrocesso” o “punito” per un trasferimento di tal genere.
VIII.b. Amministratore parrocchiale
75. Qualora non sia possibile procedere nell’immediato con la nomina del parroco, la designazione di amministratori parrocchiali[107] deve avvenire solo in conformità con quanto stabilito dalla normativa canonica[108].
Infatti, si tratta di un ufficio essenzialmente transitorio e viene esercitato nell’attesa della nomina del nuovo parroco. Per questo motivo è illegittimo che il Vescovo diocesano nomini un amministratore parrocchiale e lo lasci in tale incarico per un lungo periodo, superiore a un anno, o, addirittura, in modo stabile, evitando di provvedere alla nomina del parroco.
Secondo quanto l’esperienza attesta, tale soluzione viene adottata sovente per eludere le condizioni del diritto relative al principio della stabilità del parroco, del quale costituisce una violazione, con danno della missione del presbitero interessato, nonché della comunità stessa, che, in condizioni di incertezza circa la presenza del pastore, non potrà programmare piani di evangelizzazione di ampio respiro e si dovrà limitare a una pastorale di conservazione.
VIII.c. Affidamento in solido
76. Come ulteriore possibilità, «quando le circostanze lo richiedano, la cura pastorale di una parrocchia, o di più parrocchie contemporaneamente, può essere affidata “in solidum” a più sacerdoti»[109]. Tale soluzione può essere adottata quando, a discrezione del Vescovo, lo richiedano le circostanze concrete, in modo particolare per il bene delle comunità interessate, tramite una azione pastorale condivisa e più efficace, nonché per promuovere una spiritualità di comunione tra i presbiteri[110].
In tali casi, il gruppo di presbiteri, in comunione con le altre componenti delle comunità parrocchiali interessate, agisce con deliberazione comune, essendo il Moderatore nei confronti degli altri sacerdoti, parroci a tutti gli effetti, un primus inter pares.
77. Si raccomanda vivamente che ogni comunità di sacerdoti, ai quali è affidata in solidum la cura pastorale di una o più parrocchie, elabori un regolamento interno perché ciascun presbitero possa meglio adempiere i compiti e le funzioni che gli competono[111].
Come responsabilità propria, il Moderatore coordina il lavoro comune della parrocchia o delle parrocchie affidate al gruppo, assume la rappresentanza giuridica di esse[112], coordina l’esercizio della facoltà di assistere alle nozze e di concedere dispense che spetta ai parroci[113] e risponde davanti al Vescovo di tutta l’attività del gruppo[114].
VIII.d. Vicario parrocchiale
78. Come arricchimento, all’interno delle possibilità sopra prospettate, può trovare posto la possibilità che un sacerdote venga nominato vicario parrocchiale e incaricato di uno specifico settore della pastorale (giovani, anziani, malati, associazioni, confraternite, formazione, catechesi, etc.), “trasversale” a diverse parrocchie, oppure per adempiere a tutto il ministero, o a una parte precisa di questo, in una di esse[115].
Nel caso dell’incarico conferito a un vicario parrocchiale in più parrocchie, affidate a diversi parroci, sarà conveniente esplicitare e descrivere nel Decreto di nomina, i compiti che gli sono affidati in relazione a ciascuna comunità parrocchiale, nonché il tipo di rapporto da intrattenere con i parroci in relazione alla residenza, al sostentamento e alla celebrazione della Santa Messa.
VIII.e. Diaconi
79. I diaconi sono ministri ordinati, incardinati in una diocesi o nelle altre realtà ecclesiali che ne abbiano la facoltà[116]; sono collaboratori del Vescovo e dei presbiteri nell’unica missione evangelizzatrice con il compito specifico, in virtù del sacramento ricevuto, di «servire il popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della parola e della carità»[117].
80. A salvaguardia dell’identità dei diaconi, in vista della promozione del loro ministero, Papa Francesco ha dapprima messo in guardia contro alcuni rischi relativi alla comprensione della natura del diaconato: «Dobbiamo stare attenti a non vedere i diaconi come mezzi preti e mezzi laici. […] E nemmeno va bene l’immagine del diacono come una specie di intermediario tra i fedeli e i pastori. Né a metà strada fra i preti e i laici, né a metà strada fra i pastori e i fedeli. E ci sono due tentazioni. C’è il pericolo del clericalismo: il diacono che è troppo clericale. […] E l’altra tentazione, il funzionalismo: è un aiuto che ha il prete per questo o per quello»[118].
Proseguendo il medesimo discorso, il Santo Padre ha poi offerto alcune precisazioni in merito al ruolo specifico dei diaconi all’interno della comunità ecclesiale: «Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare cherichiama il servizio. […]Questa parola è la chiave per capire il vostro carisma. Il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio. Il diacono è – per così dire – il custode del servizio nella Chiesa. Ogni parola dev’essere ben misurata. Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Parola, il servizio all’Altare, il servizio ai Poveri»[119].
81. La dottrina sul diaconato ha conosciuto lungo i secoli un’importante evoluzione. La sua ripresa nel Concilio Ecumenico Vaticano II coincide anche con una chiarificazione dottrinale e con un ampliamento dell’azione ministeriale di riferimento, che non si limita a “confinare” il diaconato nel solo ambito del servizio caritativo o a riservarlo – secondo quanto stabilito dal Concilio di Trento – ai soli transeunti e quasi unicamente per il servizio liturgico. Piuttosto, il Concilio Vaticano II specifica che si tratta di un grado del sacramento dell’Ordine e, perciò, essi «sostenuti dalla grazia sacramentale, nella “diaconia” della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio»[120].
La ricezione post-conciliare riprende quanto stabilito da Lumen gentium e definisce sempre meglio l’ufficio dei diaconi come partecipazione, seppur in un grado diverso, del sacramento dell’Ordine. Nell’Udienza concessa ai partecipanti al Congresso Internazionale sul Diaconato, Paolo VI volle ribadire, infatti, che il diacono serve le comunità cristiane «sia nell’annuncio della Parola di Dio che nel ministero dei sacramenti e nell’esercizio della carità»[121]. D’altra parte, benché nel Libro degli Atti (At 6,1-6) sembrerebbe che i sette uomini scelti siano destinati solo al servizio delle mense, in realtà, lo stesso Libro biblico racconta come Stefano e Filippo svolgano a pieno titolo la “diaconia della Parola”. Dunque, come collaboratori dei Dodici e di Paolo, essi esercitano il loro ministero in due ambiti: l’evangelizzazione e la carità.
Dunque, sono molti gli incarichi ecclesiali che possono essere affidati a un diacono, ossia tutti quelli che non comportano la piena cura delle anime[122]. Il Codice di Diritto Canonico, tuttavia, determina quali uffici sono riservati al presbitero e quali possono essere affidati anche ai fedeli laici, mentre non compare l’indicazione di qualche particolare ufficio in cui il ministero diaconale possa esprimere la sua specificità.
82. In ogni caso, la storia del diaconato ricorda che esso è stato istituito nell’ambito di una visione ministeriale di Chiesa e, perciò, come ministero ordinato al servizio della Parola e della carità; quest’ultimo ambito comprende anche l’amministrazione dei beni. Tale duplice missione del diacono, poi, si esprime nell’ambito liturgico, nel quale egli è chiamato a proclamare il Vangelo e a prestare servizio alla mensa eucaristica. Proprio questi riferimenti potrebbero giovare a individuare compiti specifici per il diacono, valorizzando gli aspetti propri di tale vocazione in vista della promozione del ministero diaconale.
VIII.f. Le persone consacrate
83. All’interno della comunità parrocchiale, in numerosi casi, sono presenti persone appartenenti alla vita consacrata. Questa, «infatti, non è una realtà esterna o indipendente dalla vita della Chiesa locale, ma costituisce un modo peculiare, segnato dal radicalismo evangelico, di essere presente al suo interno, con i suoi doni specifici»[123]. Inoltre, integrata nella comunità insieme ai chierici e ai laici, la vita consacrata «si colloca nella dimensione carismatica della Chiesa. […]. La spiritualità degli Istituti di vita consacrata può diventare, sia per il fedele laico che per il presbitero, una significativa risorsa per vivere la propria vocazione»[124].
84. Il contributo che i consacrati possono portare alla missione evangelizzatrice della comunità parrocchiale deriva in primo luogo dal loro “essere”, cioè dalla testimonianza di una radicale sequela di Cristo mediante la professione dei consigli evangelici[125], e solo secondariamente anche dal loro “fare”, cioè dalle opere compiute conformemente al carisma di ogni istituto (ad esempio, catechesi, carità, formazione, pastorale giovanile, cura dei malati)[126].
VIII.g. Laici
85. La comunità parrocchiale si compone in special modo di fedeli laici[127], i quali, in forza del battesimo e degli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana, e in molti anche del matrimonio[128], partecipano dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, dal momento che «la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo»[129].
In modo particolare, i fedeli laici, avendo come proprio e specifico il carattere secolare, ovvero «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»[130], «possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare»[131].
86. A tutti i fedeli laici si richiede oggi un generoso impegno al servizio della missione evangelizzatrice, innanzitutto con la generale testimonianza di una vita quotidiana conforme al Vangelo nei consueti ambienti di vita e in ogni livello di responsabilità, poi in particolare con l’assunzione di impegni loro corrispondenti al servizio della comunità parrocchiale[132].
VIII.h. Altre forme di affidamento della cura pastorale
87. Esiste poi una ulteriore modalità per il Vescovo – come illustra il can. 517, § 2 – di provvedere alla cura pastorale di una comunità anche qualora, per la scarsità di sacerdoti, non sia possibile nominare un parroco né un amministratore parrocchiale, che possa assumerla a tempo pieno. In tali circostanze pastoralmente problematiche, per sostenere la vita cristiana e far proseguire la missione evangelizzatrice della comunità, il Vescovo diocesano può affidare una partecipazione all’esercizio della cura pastorale di una parrocchia a un diacono, a un consacrato o un laico, o anche a un insieme di persone (ad esempio, un istituto religioso, una associazione)[133].
88. Coloro ai quali verrà in tal modo affidata la partecipazione nell’esercizio della cura pastorale della comunità, saranno coordinati e guidati da un presbitero con legittime facoltà, costituito “Moderatore della cura pastorale”, al quale esclusivamente competono la potestà e le funzioni del parroco, pur non avendone l’ufficio, con i conseguenti doveri e diritti.
Giova ricordare che si tratta di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale, dovuta all’impossibilità di nominare un parroco o un amministratore parrocchiale, da non confondere con l’ordinaria cooperazione attiva e con l’assunzione di responsabilità da parte di tutti i fedeli.
89. In vista del ricorso a tale rimedio straordinario, occorre preparare adeguatamente il Popolo di Dio, avendo poi cura di adottarlo solo per il tempo necessario, non indefinitamente[134]. La retta comprensione e applicazione di tale canone richiede che il ricorso a quanto previsto, «avvenga nell’accurato rispetto delle clausole in esso contenute, ovvero: a)“per carenza di sacerdoti”,e non per ragioni di comodità o di una equivoca “promozione del laicato” […]; b) fermo restando che si tratta di“partecipazione nell’esercizio della cura pastorale”e non di dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia; cosa che, secondo il testo del canone, compete solo ad un sacerdote»[135].
90. In vista di condurre a buon fine l’affidamento della cura pastorale secondo il can. 517, § 2[136], occorre attenersi ad alcuni criteri. Innanzitutto, trattandosi di una soluzione pastorale straordinaria e temporanea[137], l’unica causa canonica che rende legittimo il ricorso a essa è una mancanza di sacerdoti, tale che non sia possibile provvedere alla cura pastorale della comunità parrocchiale con la nomina di un parroco o di un amministratore parrocchiale. Inoltre, uno o più diaconi saranno da preferire a consacrati e laici per tale forma di gestione della cura pastorale[138].
91. In ogni caso, il coordinamento dell’attività pastorale così organizzata compete al presbitero designato dal Vescovo diocesano come Moderatore; esclusivamente tale sacerdote ha le potestà e le facoltà proprie del parroco; gli altri fedeli hanno, invece, «una partecipazione all’esercizio della cura pastorale della parrocchia»[139].
92. Sia il diacono, sia le altre persone non insignite dell’ordine sacro, che partecipano all’esercizio della cura pastorale, possono compiere soltanto le funzioni che corrispondono al rispettivo stato diaconale o di fedele laico, rispettando «le proprietà originarie di diversità e complementarietà tra i doni e le funzioni dei ministri ordinati e dei fedeli laici, proprie della Chiesa che Dio ha voluto organicamente strutturata»[140].
93. Infine, nel Decreto con cui nomina il presbitero Moderatore è vivamente raccomandato che il Vescovo esponga, almeno sommariamente, le motivazioni in virtù delle quali si è resa necessaria l’applicazione di una forma straordinaria di affidamento della cura pastorale di una o più comunità parrocchiali e, conseguentemente, le forme dell’esercizio del ministero del sacerdote incaricato.