“Innamoriamoci della bellezza di Dio”
(Commento al Vangelo di don Mario Pagan)
Il brano del Vangelo odierno fa parte del “discorso di addio” o “testamento di Gesù”. I discepoli vengono scaraventati di fronte a una realtà inevitabile: la prossima partenza del Maestro. Il verbo “vado” torna con crudele insistenza, quasi a spazzar via le residue illusioni.
Si parla di croce, casa, posto, cammino… Tutte parole che fanno parte del nostro vocabolario quotidiano. E che, sula bocca di Gesù, negli ultimi istanti della sua vita terrena, assumono un significato particolare.
Il Maestro si preoccupa di esorcizzare dai propri amici la paura, immunizzare il loro cuore contro il “turbamento”. Precisa, però, che non è un distacco definitivo, irrimediabile, ma piuttosto di un “allontanamento” che non determina una “assenza”, un vuoto, ma una “presenza diversa, nascosta.
E poi Cristo non se ne va per proprio conto. “Precede” i suoi. Va a prendere possesso di una dimora definitiva, di un posto, anche per loro.
Li rassicura: “Ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io”.
Soprattutto alla fine della pagina scopriamo che Gesù svela il mistero circa la sua mèta. Va verso una Persona: Io vado al Padre”. E questo punto di arrivo che è una Persona, non è inaccessibile per i discepoli.
Anche loro, quindi, attraverso la “vi” che è Cristo, sono incamminati verso la Casa del Padre.
E il Padre non è più per loro uno sconosciuto. Hanno già avuto la possibilità di contemplare il volto. “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
Oserei dire che per combattere il turbamento che attanaglia il cuore degli apostoli, Gesù oltre a garantire loro il ritorno, il ricongiungimento, abbia lasciato una specie di feritoia, uno squarcio luminoso attraverso il quale potranno sempre scorgere, dalla dimora terrestre, il luogo dove è Gesù e dove anche loro perverranno. La feritoia che dà sull’invisibile è la bellezza.
Il bello non è solamente ciò che piace. Oltre ad essere una festa per gli occhi. Nutre lo spirito e lo illumina.
“Bellezza” è un nome divino, anche se decisamente trascurato.
Nella Bibbia c’è un termine che ritorna con frequenza per indicare Dio kabod, che noi traduciamo con “gloria”. Si tratta in realtà dello splendore della divinità, dell’irradiazione luminosa della vita stessa di Dio.
Traendo il mondo dal nulla il Creatore, quale divino Artista, compone la propria “Sinfonia” in sei giorni. E al termine di ognuna delle sue opere, “vide che era bello”. Il termine ebraico impiegato significa, bello e buono insieme.
La prima bellezza, dunque, è quella paradisiaca, della creazione.
“Chi ha visto me, ha visto il Padre”:. ha visto la bellezza. Innamoriamoci di questa bellezza. In questi tempi difficili per ciò che è avvenuto e continua a venire nel mondo può essere una boccata di ossigeno per aprirci alla speranza di un mondo che può, se c’è buona volontà, risplendere della bellezza originaria. attraverso Cristo.
L’uomo vuole tutto e l’avremo quando vedremo Dio. Allor è giusto quello che ha detto Filippo e vale per tutti: vedere Dio e basta!