L’affetto e la tenerezza nel sentirsi amati
Rubrica a cura di Don Giovanni Boezzi delegato dai sacerdoti della Zona Pastorale di Vasto per la Famiglia
Carissimi, come uno sposo pazzamente innamorato della sua sposa, Dio si rivolge all’uomo con toni di appassionata tenerezza. Israele, l’umanità, ciascuno di noi sperimenta quotidianamente il peso della debolezza che lo porta ad allontanarsi da Dio-Amore per inseguire idoli fallaci e lusinghieri. I frutti non tardano a manifestarsi: vuoto, scontentezza, avvilimento, depressione… Su questo scenario di frustrante sterilità, si leva, ancor oggi, confortante, la Parola di Dio: “Non temere!”.
Nessun peccato, anche il più grave, può allontanare da te il mio affetto. Tu puoi venir meno ai tuoi impegni ma io, il tuo Dio, resterò fedele al patto di amore, all’alleanza di pace che ho stretto con te. Dio-Sposo che mi raggiunge nell’abisso di male in cui sprofondo per riconfermare il suo “patto nuziale”.
Nella vita di una famiglia, di una coppia, talora ci sono momenti, che sembrano eterni, in cui ci si sente insignificanti, abbandonati, demotivati, perduti. Magari si è lottato con tutte le forze per inseguire un bene materiale, per avere ciò che hanno tutti, per non stare indietro rispetto agli altri; magari si è costruita la villetta dopo anni e anni di sacrifici immani, senza orario di lavoro, senza abbondanza di sorrisi per i bambini che vedevano i genitori incatenati “nell’esilio” del perseguire qualcosa ritenuto vitale.
“Perché lavorate tanto?”, chiedeva un bambino ai genitori. “Per farti la casa”, rispondevano; e non si accorgevano della solitudine del ragazzino, per interi pomeriggi abbandonato a sé stesso. Ma poi, fatta la casa, raggiunto il punto agognato della carriera, ecc., dov’è la felicità promessa? Dov’era quel Dio messo da parte solo per le feste comandate?
Ma proprio nella demotivazione, magari nel fallimento, colui che si definisce Sposo è in attesa per rilanciare la sua alleanza, per essere riconosciuto il Dio della vita, non degli averi e dei possessi. È stupendo questo porsi di Dio come Sposo disposto a riprendere, a “ricominciare da capo” con la sua sposa, a “farsi trovare” dove affiorano le domande in forza delle sconfitte; dove, magari, ci si sente abbandonati o inutili o senza senso.
Certo, lo Sposo è prontissimo a lanciare la sua alleanza anche nei momenti in cui siamo sazi, ma siamo noi a non alzare gli occhi verso di lui, a credere di poterne fare a meno.
È stupefacente che questo testo profetico si avvalga dell’immagine della sponsalità per dire l’innamoramento, la cura, la stabilità e la sicurezza del rapporto con la sposa, e cioè con le coppie, con le famiglie, che egli continuamente richiama.
Possiamo stare sicuri: la tenerezza del suo legame con coppie e famiglie, va ben oltre le briciole di amore che noi possiamo darci l’un l’altro e possiamo dare a lui.