“Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”
(Commento al Vangelo di don Gianluca Bracalante)
Questa frase di Rosario Livatino, il “giudice ragazzino” ucciso dalla ferocia diabolica della mafia nel 1990, introduce la riflessione sulla Parola di Dio in questa solennità di Cristo Re dell’Universo. Questa solennità, introdotta da papa Pio XI con l’enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925, vuole celebrare la regalità di Cristo, Signore del tempo e della storia, inizio e fine di tutte le cose.
La Prima Lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, ci parla della regalità di Dio. Non è una regalità che delega ma è una regalità che si impegna in prima persona: “Io stesso cercherò le mie pecore”.
E per dare una immagine di questa ricerca il Signore Dio non si riveste dell’abito militare cioè quella della forza politica e neanche dell’abito liturgico cioè quello della religione. Il Signore per farci comprendere la sua regalità utilizza la bellissima immagine del pastore che è metafora della cura del creato.
Cosa fa il pastore? Passa in rassegna le pecore, si china, guarda, osserva, accarezza, guarda se stanno bene, se stanno male, se sono zoppe, se hanno fame, se sono ferite.
Puoi comprendere questo atteggiamento se nella tua vita hai sperimentato che Lui ti ha radunato da dove eri disperso.
Nel Vangelo quel “Io stesso” di Dio della prima lettura diventa “Tu”. Dio ti ha fatto vedere come si fa, adesso tocca a te nel cercare il nudo, il malato, l’affamato, il carcerato, lo straniero ecc. Tocca a te essere per ogni persona la Sua mano, il Suo vestito, la Sua libertà, la Sua terra.
Gesù il Cristo non è nel banco della chiesa o nella statua che portiamo in processione ma è nel volto di ogni essere umano che ha bisogno di essere amato. E ogni persona che fa ciò che ha fatto lui è un Altro Cristo e non importa quale credo professi o non professi. Le opere di misericordia, così come le beatitudini, prescindono completamente dalla fede e dalle devozioni.
Gesù ci ricorda che è la fede nell’umano che ci fa comprendere la sua regalità divina. San Paolo ci ricorda, nella seconda lettura, che Dio non si trova solo nel nostro recinto ma è “tutto in tutti”.
“Signore, non ci chiederai conto, infatti, di quello che abbiamo detto o scritto, ma di quello che abbiamo fatto. E non potremo produrre a nostra difesa e a nostro vanto né i capitali ammucchiati in banca, né i tesori raggranellati in borsa, né le proprietà che figurano al catasto o i successi ottenuti con questa o quella attività.
Conteranno unicamente i gesti compiuti per sfamare e dissetare, per accogliere e vestire, per curare e sostenere.
Sarà un triste e doloroso risveglio, Gesù, se ti saremo passati accanto senza neppure vederti, presi dai nostri affari, condotti dal giro vorticoso dei nostri interessi. Perché eri tu che avevi fame e sete, tu che eri straniero, infermo o prigioniero”.