L’umiltà che ottiene il perdono
(Commento al Vangelo di don Gianni Carozza)
«Due uomini salirono al tempio per pregare…». Inizia così la celebre parabola lucana che la liturgia ci offre in questa domenica. Si tratta di un fariseo, di uno cioè che è pratico della legge e che è esperto di Scritture, e di un esattore, meglio conosciuto come pubblicano, che nulla sa di leggi e che non conosce i modi con cui rivolgersi a Dio.
L’evangelista quasi si diverte a descrivere con tratti caricaturali l’atteggiamento del primo: «stando in piedi e parlando a se stesso, pregava così: “O Dio, io ti ringrazio per il fatto che non sono come il resto degli uomini…”». Si noti l’onnipresenza della prima persona, la messa in primo piano di opere che vanno oltre il dovere e il disprezzo generale per il resto dell’umanità, compreso l’esattore. Certamente il fariseo dice il vero e delle cose da lui dette non si deve dubitare poiché compie regolarmente delle ottime azioni. Ma la sua valutazione di esse lo fa cadere in un’ondata di orgoglio spirituale e di ipocrisia: in realtà, così facendo, egli mostra quanto sia compiaciuto di se stesso e dice anche a Dio come debba esserlo di lui.
Del secondo invece si dice che «tenendosi a distanza, non voleva nemmeno alzare gli occhi al cielo». Nella tradizione biblica, conservare una distanza è preservare la possibilità di un incontro o di un dialogo. Il pubblicano preferisce persino mantenere il suo sguardo abbassato, mentre il tempio è il luogo in cui normalmente, per tradizione, gli occhi sono rivolti in alto per contemplare la gloria di Dio. Non ha vergogna di provare vergogna. L’invocazione, «o Dio», è identica a quella del fariseo, ma il contenuto e l’intensità della preghiera divergono completamente. Le sue parole sono letteralmente: «O Dio, lasciati riconciliare con me peccatore». In questo modo egli riconosce la sua colpa con sincerità, mostra di cercare un grande desiderio di pace con Dio ed è fiducioso nella sua bontà.
L’epilogo è chiaro: l’unico modo giusto di mettersi dinanzi a Dio è evitare ogni presunzione e arroganza e sentirsi costantemente bisognosi del suo perdono e del suo amore. Non a caso, ha scritto B. Pascal, «la grandezza dell’uomo sta in questo: che egli ha coscienza della propria miseria».