“Ma a voi che ascoltate”
(Vangelo in arte di don Gilberto Ruzzi)
Cristo deriso, Beato Angelico
In questa settima domenica del Tempo “per annum” entriamo nella cella numero sette dell’ex convento domenicano, oggi Museo, di san Marco a Firenze.
Siamo negli ambienti che , a partire dal 1438, il Beato Angelico iniziò a decorare con una serie di affreschi aventi tutti per oggetto il Mistero di Cristo. Ed in questa cella troviamo uno di quelli che probabilmente sono opera del pennello del pittore e non della sua scuola.
Monumentale nella sua essenzialità, come essenziali sono la maggior parte dei dipinti delle altre celle, la scena della “Derisione di Cristo” si offre ai nostri occhi come se fosse contemporanea a chi la osserva. Fra Giovanni da Fiesole, questo il nome da religioso domenicano dell’Angelico, colloca la scena evangelica in una dimensione atemporale, immersa in una luce cristallina che modella i volumi dei corpi e delle pieghe degli abiti; anche lo spazio architettonico sembra essere ininfluente. Così, ridotta all’essenziale, la composizione è capace di evocare ai nostri occhi e nella nostra memoria non solo l’evento legato al racconto della Passione di Gesù, ma traduce plasticamente la sua scelta di non opporre violenza a violenza.
Il Cristo è “intronizzato” su di una seduta rossa, mentre alle sue spalle si staglia un drappo verde. Ad accentuare maggiormente la drammatica “solennità” della figura che spicca sullo sfondo c’è la veste bianca che egli indossa, forse un rimando all’abito dei folli, dunque un ulteriore segno di dileggio oltre il globo e lo scettro regali che regge tra le mani, in realtà un sasso tondo ed una canna. Gli aguzzini sono solo evocati da questa giostra di mani alzate per schiaffeggiare, per colpire col bastone e dal volto maschile che sputa nella direzione di Cristo.
Il centro della composizione è il volto di Cristo: è bendato, ma il gioco di ombre e di pieghe delle bende ci permette di individuarne i lineamenti; gli occhi sono chiusi, l’espressione è mite.
Ai piedi del trono da farsa seggono la Madre, Maria, che medita con espressione compresa, mentre, dall’altro lato, un assorto Domenico di Guzman legge in un libro adagiato sulle ginocchia.
Proviamo ad immedesimarci nell’anziano Frate Predicatore che ha vissuto in questa cella e che ha pregato e meditato dinanzi a questo affresco: l’Angelico ha pensato di offrire a lui ed a noi che abitiamo questo spazio solo virtualmente un luogo per entrare dentro un evento, per divenirne partecipi. Solo partendo da questa contemplazione possiamo comprendere le parole di Gesù che ascoltiamo in questa domenica: parole alte che rischiano di suonare come mera utopia.
« Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra… ».
Parole dalle quali ciascuno di noi sente la propria distanza e, dobbiamo confessarlo, anche la propria incapacità a compierle.
In quel “Ma a voi che ascoltate io dico” col quale il discorso esordisce sta la rivelazione: è la via “altra”, quella di Gesù stesso. La differenza cristiana, che ci affranca dalla facile omologazione alle logiche mondane, risiede proprio in questo essere assimilati dalla visione di Gesù rispetto ad un amore che non conosca nemici.
La Madre e San Domenico stanno a testimoniare la possibilità di questa sequela che porta a scegliere secondo la logica di Gesù. Perché, sarà forse utile ricordarlo, di possibilità si tratta, non di comando: il “Tu devi” riferito al comando di “amare ciò che oggettivamente amabile non è” va inteso come “Tu puoi!”. E nella misura in cui acconsentirò a questa possibilità il mio volto tradirà i tratti di quello di Cristo, così come affiora da sotto quelle bende dipinte dall’Angelico.
Allora smetterò di chiedermi: Ma se dopo essermi sforzato di amare il nemico questo non cambierà a cosa sarà servito?…Perché è vero, l’altro potrebbe non cambiare, ma sarò io ad essere cambiato.