“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”
(Commento al Vangelo di don Andrea Manzone)
Il brano del vangelo (Gv 8,1-11) di questa domenica può apparire, ad un giudizio superficiale, abbastanza “facile” ma non è esattamente così: lo testimonia il fatto che diversi manoscritti antichi non lo riportano, che i commentatori antichi ne parlano con difficoltà. Che cosa scandalizza di questo piccolo brano evangelico? Vediamo che cos’ha di così difficile il brano dell’adultera perdonata.
Gesù sta insegnando nel Tempio, come di consueto, quando gli portano una donna “sorpresa in adulterio”. Possiamo immaginare, senza adulterare il Vangelo, che questa donna sia stata trascinata dal letto alla piazza senza troppi convenevoli: la vediamo avvolta nei pochi panni che ha trovato, con il capo scoperto, forse con qualche segno di violenza, esposta al ludibrio di tutti i passanti, umiliata e offesa.
La Legge prevedeva che gli adulteri, uomini e donne, venissero lapidati immediatamente, e che a tirare il primo sasso fosse proprio colui che li avesse colti sul fatto.
Ma agli scribi e ai farisei non importa della donna: essi vogliono usarla – forse come già altri hanno fatto – per “tentare” Gesù, il quale invece di imbarcarsi in un discorso legale compie un gesto strano: si china a terra e scrive con un dito per terra. Che senso ha? Nel corso dei secoli molte sono state le interpretazioni: Gesù, secondo alcuni, avrebbe scritto i nomi degli accusatori e i loro peccati. Il Vangelo non lo dice, ma mi sembra molto efficace quanto scrive F. Mauriac nella sua Vita di Gesù: «Il Figlio dell’uomo sapendo che quella sciagurata si sveniva meno di paura che di vergogna, non la guardava perché vi sono certe ore nella vita d’una creatura in cui la più grande carità è non vederla. Tutto l’amore del Cristo per i peccatori è racchiuso in quello sguardo sottratto». Gesù guarda invece negli occhi gli accusatori, costringendoli a guardarsi dentro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». Essi allora vanno via, «cominciando dai più anziani», ossia da coloro che hanno conosciuto di più il peccato, quantomeno per esperienza.
La donna e Gesù rimangono soli. E mentre la donna professa la sua fede («Signore»), in quel Gesù si alza e pronuncia il suo verdetto: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Ecco lo scandalo: un perdono dato senza alcun segno di pentimento, una condanna mancata in piena discrepanza con la legge e con il sentire comune. Chi avrebbe potuto condannare non condanna, ma fa molto di più: guarisce. La misericordia non annulla la differenza tra bene e male, ma raggiunge il cuore della persona, lo fascia ed imprime in esso un ricordo più forte delle colpe.
E quella donna adultera sarà forse l’immagine del popolo adultero, che ha adulterato, svisato e raggelato la legge, un popolo guarito anch’esso come la donna dalle sue infedeltà dalla legge della grazia che il dito di Dio scrive nei nostri cuori. Ma ella è e sarà anche l’immagine di tutti noi, adulteri, che davanti al tribunale dove siede il Crocifisso risorto, non sentiremo altro che: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».